Eguali?
Gli omosessuali sono ancora discriminati. Cosa può fare l’ente locale?
L’atteggiamento nei confronti della diversità oscilla fra due estremi. Da un lato quello ben descritto dalla sequenza di Raoul Hilber con le quattro fasi che portarono alla Shoah: individuazione, separazione, discriminazione, eliminazione. Dall’altro il riconoscimento della diversità come premessa indispensabile per introdurre regole e norme di pari opportunità per chi ne ha bisogno per essere cittadina e cittadino a pieno titolo.
In mezzo sta la legge, indispensabile per fissare norme che allarghino i diritti e permettano a tutti di goderne e nello stesso tempo riconoscano il pluralismo come bene fondamentale di una società democratica.
Di questo, e d’altro, si è parlato a Bolzano in una serata organizzata dall’associazione Centaurus, storica rappresentanza degli omosessuali e delle lesbiche sudtirolesi. L’affollamento (c’erano anche molti/e trentini/e) della sala dell’archivio storico del Comune era favorito dall’attenzione prestata di recente dai mass media alla questione dei diritti da riconoscersi alle persone al di là dell’orientamento sessuale. Il Consiglio comunale di Bolzano, nonostante la contrarietà del sindaco e la presa di posizione pubblica del vescovo, con una maggioranza trasversale ha istituito il registro delle unioni anagrafiche, una formula che dovrebbe aprire la strada all’accesso ai diritti anche a coppie non sposate o dello stesso sesso.
Contemporaneamente è stato elaborato da parte di Centaurus un disegno di legge provinciale, affidato per la presentazione alla presidente del Consiglio (la sottoscritta), che prevede norme antidiscriminatorie nei comportamenti dei dipendenti pubblici, nei mass media (attraverso il Comitato regionale della comunicazione), e nell’accesso ai diritti sociali, casa e sanità in primo luogo. Al dibattito ha partecipato anche Titti De Simone, deputata e fondatrice di Arcilesbica. Proprio De Simone ha espresso la preoccupazione che si stia andando verso un restringimento dei diritti di cittadinanza degli omosessuali. Il forte cambiamento di mentalità avvenuto negli ultimi vent’anni non ha portato a novità sul piano legislativo. "Le pressioni delle gerarchie vaticane su destra e sinistra hanno come risultato che si goda di un’atmosfera favorevole nei periodi di governo del centro-sinistra, senza tuttavia che ciò abbia portato a riforme legislative. (...) La classe politica è molto più arretrata del paese" - ha affermato la parlamentare, e fa prevalere "un’idea etica" dello Stato.
Nonostante la Raccomandazione 1474 dell’Unione
Europea che impone di parificare la discriminazione in base all’orientamento sessuale alle altre discriminazioni, l’Italia finora non ha fatto nulla in questo senso. Si è citato nel corso della discussione la Costituzione del Sudafrica, che proprio perché nata dopo il terribile tempo dell’Apartheid, contiene esplicita e dettagliata menzione delle possibili ragioni di discriminazione, fra cui l’orientamento sessuale, nell’articolo che fissa il principio di eguaglianza.
Per questo appare tanto più importante che le Regioni - e nel nostro caso le Province autonome - legiferino in questa materia, riconoscendo diritti sociali e rimuovendo gli ostacoli alla piena eguaglianza, e favorendo l’evoluzione culturale della società verso un pieno riconoscimento del valore della differenza. Rimane ovviamente precluso al legislatore provinciale ogni intervento legislativo in tema di famiglia e status delle persone, in quanto ricomprese nell’ordinamento civile rimasto di esclusiva competenza statale anche dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, ma è opportuno che la Provincia non si sottragga al compito di favorire l’accesso ai diritti di cittadinanza a tutti. Infatti con la riforma della Costituzione, il legislatore statale e il legislatore regionale sono posti sullo stesso piano di importanza nell’ambito della gerarchia delle fonti, essendo entrambi assoggettati soltanto alla Costituzione, ai vincoli comunitari, agli obblighi internazionali: da ciò deriva che anche la legislazione regionale, e nel nostro caso provinciale, in materia di principi e diritti acquista un valore di orientamento molto più forte.
Già due regioni hanno approvato norme in questo
senso. La prima è la Val d’Aosta, che allarga l’accesso al diritto alla casa e alle prestazione di assistenza socio-sanitaria, riconoscendo "come formazione sociale primaria e soggetto di fondamentale interesse pubblico la famiglia comunque formata, fondata su legami socialmente assunti di convivenza anagrafica, di solidarietà, di mutuo aiuto, di responsabilità nella cura delle persone che la compongono e nell’educazione dei minori".
E la Toscana, al comma 3 dell’articolo 5 della legge 96/1996 (edilizia sociale), detta: "Hanno diritto a partecipare al bando di concorso anche persone non legate da vincoli di parentela o affinità, qualora la convivenza sia finalizzata alla reciproca assistenza morale e materiale, sia instaurata e duri stabilmente da almeno due anni alla data del bando e sia dichiarata in forma pubblica con atto di notorietà sia da parte del richiedente, sia da parte dei conviventi".
In entrambi i casi non si parifica la coppia di fatto con la famiglia, ma la si ammette al godimento dei diritti sociali, limitatamente alle finalità della legge.
L’istituzione del registro comunale dunque non porta di per sé a godere di diritti, ma è una delle vie che rende possibile il loro esercizio nel momento in cui essi vengano riconosciuti.
Fra il pubblico i sentimenti erano contrastanti. Dall’euforia di poter parlar apertamente dei propri problemi e delle proprie aspirazioni (forte quella di alcune coppie al matrimonio), alla sofferenza di essere esclusi dal pieno inserimento nella società solo per "colpa" della propria identità, al timore derivante dalle sofferenze private e pubbliche che il mancato riconoscimento del diritto alla differenza infliggono a tanti, esclusi dal lavoro, oggetto di mobbing, incerti nei rapporti di solidarietà familiare, esclusi dall’eredità, messi da parte nel momento della malattia e della morte.
Un tema su cui nella provincia delle minoranze è da attendersi una forte sensibilità, considerato che la questione delle minoranze è un principio della democrazia e che ridotto alla differenza etnica perde il suo valore assoluto.