La Rosa Bianca e la sua eredità
Spettacolo affabulatorio di Maurizio Donadoni sulla disperata e tragica opposizione al nazismo di un gruppo di studenti cattolici. La necessità dell'opposizione, la cialtroneria della dittatura, il pessimismo sulla storia in uno spettacolo che parla anche dell'oggi.
Domenica 2 febbraio è passato per il delizioso teatro Gustavo Modena di Mori lo spettacolo di Maurizio Donadoni "Canto della rosa bianca".
Spettacolo affabulatorio che vede Donadoni da solo sul palco a raccontare, con l’unico ausilio di un martellante apparato di suoni e immagini proiettate su di uno schermo dietro le sue spalle, la storia reale ("tutto quello che racconterò è assolutamente veritiero - assicurava in apertura - tratto dalla documentazione storica diretta") di un gruppo di studenti dell’università di Monaco che nell’inverno 1942-43 decide di ribellarsi al nazismo con scritte sui muri e diffondendo ciclostilati di opposizione al regime. Tentativo disperato, privo di alcun riscontro storico - "un vero e proprio fallimento" lo definisce la brochure di presentazione dello spettacolo - che si conclude con 90 condanne al lager e 14 esecuzioni capitali.
Il racconto di Donadoni era incalzante, mentre le immagini proiettate che accompagnavano il racconto affastellavano senza un attimo di respiro scene di vita reale del III Reich e spezzoni di film del tempo, mescolate ad immagini contemporanee della metropolitana di Berlino.
La storia della Rosa Bianca (questo il nome del gruppo antinazista) ha conosciuto negli ultimi anni una fortunata bibliografia, di ispirazione cattolica. E’ stata vista spesso come esempio esaltante di "opposizione della coscienza" di ispirazione cristiana, che giunge al sacrificio di sé come nella miglior tradizione evangelica. Lo spettacolo visto a Mori parla anche con altre sfumature. Il vero e proprio racconto della vicenda resistenziale è preceduto da una storia della ascesa al potere di Hitler che sottolinea gli elementi di patologica cialtroneria del personaggio, e dei suoi tempi. E la messa in scena della temerarietà dei giovani oppositori lascia il dubbio di una vocazione al suicidio esemplare che può affondare le radici solo in una disperazione storica, nella catartica proiezione dei propri ideali in un futuro privo di possibilità di mediazione con un soffocante presente, quello dei compagni di università che sciamano attorno ai nostri eroi senza batter ciglio.
E in questo pessimismo storico forse Donadoni ha messo qualcosa del nostro presente. "I movimenti totalitari … ottengono successo in seguito a una specie di contagio. Alla morte dei capi le masse dimenticano senza guarire del germe della follia totalitaria. La malattia sopravvive in molte manifestazioni cui spesso oggi non si dà peso" - recita una frase della Harendt che Donadoni ha messo in calce alla brochure dello spettacolo. Per esempio nella caccia all’extracomunitario che ha messo in moto la legge Bossi-Fini. Insomma una resistenza delle coscienze è sempre necessaria, sembra essere il monito dello spettacolo.