Futurismi a Verona
50 opere raccontano i deliri in movimento di artisti veronesi degli anni ‘30-’40.
E’ da un bel po’ di anni che dura la fortuna critica, sempre più numerose sono state le mostre sul Futurismo e continua ancora lo scavo in profondità soprattutto nelle province italiane. Questa volta è toccata all’Officina d’Arte di Verona (mostra aperta fino al 30 marzo 2003) portare avanti la riflessione su alcuni artisti che costituirono un "covo" nella dormiente città veneta intitolato a Umberto Boccioni, morto prematuramente per una stupida caduta da cavallo, ed intesero diffondere il verbo marinettiano che aveva come fine lo svecchiamento della letteratura e delle arti tutte.
Dopo le rissose serate futuriste volte a specificare la loro provocazione, fu il tema del volo, impartito direttamente da Marinetti, a catturare l’attenzione del movimento nelle forme dell’aeropittura, dell’aeroscultura, dell’aeropoesia, aeroarchitettura, per "sfociare nei campi del nuovo infinito".
E non solo. Nel ’33 fu pubblicato il "Manifesto futurista della cravatta italiana" e ce ne rende testimonianza Renato Di Bosso, l’artista di punta del movimento scaligero: "Nel marzo 1933 fui invitato a Rovereto dove una grande industria aveva messo a punto un nuovo metallo, e cioè l’alluminio. Mentre un ingegnere ne esaltava le caratteristiche e le qualità, ebbi l’idea della cravatta in alluminio. Me ne feci dare alcuni fogli e arrivato a Verona feci il primo esemplare".
Un mese più tardi fu diffuso il "Manifesto futurista della città musicale" con la proposta di torturare la città (diciamo noi) con potenti amplificatori radiofonici posti in punti strategici che a fasce orarie avrebbero trasmesso musica per ottenere "una popolazione più sana e un movimento ritmico e ordinato nelle vie".
E’ del ’41 invece la pubblicazione del "Manifesto del’aerosilografia" ad opera di Renato Di Bosso che prova con "effetti di chiaroscuro singolari e uno sfumato nuovissimo inedito" a realizzare quel programmatico dinamismo plastico delle figure in movimento. Di questo clima nuovo ed esagitato svolto all’ombra del fascismo il catalogo della mostra ci restituisce i preziosi documenti e i profili dei maggiori protagonisti di quella stagione.
In primis la figura di Alfredo Gauro Ambrosi con la sua "Virata sull’arena di Verona" centrifugata o l’ "Aerosintesi di paesaggio in quota del lago di Garda" che cerca di sintetizzare il concreto e l’astratto della vita aerea.
Oltre alle anticravatte italiane e alle aerosilografie Di Bosso firmerà il bellissimo "In volo sul pescheto in fiore" del ’42 e la scultura "Il balilla" che, in forma chiusa, si discosterà dai modelli boccioniani. Di notevole qualità gli spigolosi bozzetti scenografici disegnati con maestria da Albino Siviero (in arte Verossì) a confronto delle sue quasi cartoline con scorci di Verona (la chiesa di Santa Libera sembra un quadro di Salvo!) .
Fa corpo a sé la "Composizione n.1" di Bruno Aschieri del ’34 più vicina ad un Veronesi che non agli altri artisti sunnominati. Spiriti freschi messi in moto da fiaschi di rosso Valpolicella.