Omicidio o gesto d’amore?
Una sentenza in tema di eutanasia.
E’ stata pubblicata su "Guida al Diritto" del 10 ottobre 2002 la motivazione della sentenza della Corte di Assise di Appello di Milano su una vicenda che ha fatto molto scalpore, anche per il rilievo che ne hanno dato la stampa e la televisione. I giudici del secondo grado dovevano decidere sull’appello contro la sentenza della Corte di Assise di Monza che aveva condannato l’imputato alla pena di sei anni di reclusione per il reato di omicidio premeditato della moglie.
La donna era stata ricoverata in ospedale per una piastrinopenia, con manifestazioni di emorragia a livello cutaneo.
Dopo cinque giorni si manifestava una emorragia endocranica. Il giorno dopo la paziente entrava in coma, con due focolai emorragici intracranici La donna veniva operata d’urgenza, risultando il quadro clinico estremamente grave.
Dai continui e scrupolosi monitoraggi, dalle annotazioni sulla cartella clinica e dalle dichiarazioni dei medici curanti si poteva trarre la conclusione che la paziente fosse ormai un "cadavere a cuore battente" grazie all’intervento artificiale delle macchine, senza che ancora fosse formalmente certificata la morte cerebrale.
Secondo la normativa vigente, dettata dalla legge 29/12/93 n°578 e dal decreto ministeriale n° 582 del 22/8/94, la dichiarazione di morte (con la conseguenza della possibilità di interrompere legittimamente l’erogazione anche artificiale di prestazioni sanitarie) si può fare solo a seguito di una accertata diagnosi di morte cerebrale. Per morte cerebrale si intende la morte del paziente diagnosticata, anziché con criteri cardiologici, utilizzando invece criteri cerebrali, in virtù della loro maggiore sensibilità che permette di anticipare la diagnosi. Il processo letale infatti non è quasi mai istantaneo, ma si prolunga nel tempo. La sua fase iniziale può coinvolgere il paziente in quanto organismo, ma non ancora pienamente e irreversibilmente i singoli organi. Questo intervallo, che di solito è reso possibile dall’intervento delle macchine, rende praticabile l’espianto e il trapianto degli organi. Nel caso in questione l’ultimo monitoraggio cerebrale era stato eseguito alle 5,30 del mattino evidenziando esili scintille di vita, il che significa che la morte avrebbe potuto verificarsi in qualunque momento successivo. A una specifica domanda proposta in dibattimento se al momento del fatto poteva già essersi verificata la morte cerebrale, uno dei medici curanti rispondeva con certezza: "Sì, poteva esserci morte cerebrale".
L’imputato si presentava in ospedale alle 6,30. Essendo stato informato delle condizioni della moglie, e che gli esiti dell’ultima tomografia avevano escluso l’utilità di altri interventi, entrava nel reparto rianimazione e staccava i tubi della ventilazione collegati al corpo della donna. Chiedeva e otteneva l’intervento di un medico per accertare il decesso della moglie, al cui dito infilava poi la sua fede in un rinnovato patto d’amore.
Questi sono i fatti che determinarono la Corte di Assise di primo grado a condannare l’imputato per omicidio premeditato.
I giudici milanesi hanno annullato la condanna e hanno assolto l’imputato. Per eutanasia, come sarebbe auspicabile de iure condendo? No, la Corte non ha avuto questa possibilità, ma ha trovato egualmente il coraggio di assolvere l’imputato affermando che non vi era la prova che al momento della "estubazione" la paziente fosse viva e non cerebralmente morta. La prova in effetti era diabolica, ma anche il ragionamento della Corte appare acrobatico. L’accertamento della morte , nel caso in esame, risulta complicato non essendo stato effettuato il monitoraggio nel momento immediatamente precedente il distacco della ventilazione artificiale, ma soltanto un’ora prima. La Corte giunge a tale accertamento con procedimento indiziario, che sulla base degli elementi a disposizione non poteva che concludersi con l’insufficienza di prove. Vi erano altissime probabilità che nel periodo di tempo di un’ora la morte cerebrale si fosse verificata, date le gravissime condizioni della donna, ma non vi era la certezza. D’altro canto non vi era assolutamente certezza che la donna fosse ancora in vita.
Convinca o meno questa sentenza coraggiosa, è evidente una volta di più che bisogna aprirsi senza pregiudizi all’eutanasia, valutandone lo spessore morale e la pietas che la muove. Resta urgente l’opportunità di un intervento legislativo radicale, che legittimi l’eutanasia, o quanto meno riduca il minimo della pena e riconosca attenuanti ad effetto speciale per i casi di omicidio del consenziente, ovvero di omicidio "pietoso", nel senso indicato dalla dottrina e anche dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.