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Armi non convenzionali e terrorismo

Armi chimiche, biologiche e nucleari in mano ai terroristi: da ipotesi improbabile a minaccia reale.

Silvia De Carli, Elisa Goffredo

"Non pensiamo che sia un crimine cercare di ottenere armi nucleari, chimiche o biologiche. La nostra terra santa è occupata da forze israeliane e americane. Abbiamo il diritto di difenderci e di liberare la terra santa che ci appartiene" (Osama Bin Laden).

Per tutto il XX secolo e fino alla metà del 2001 numerose sono state le argomentazioni scientifiche che presentavano gli episodi di terrorismo realizzati mediante l’impiego di armi chimiche, biologiche o nucleari (CBN) come un’ipotesi scarsamente probabile. Dopo l’11 settembre 2001 e la diffusione di lettere contenenti polvere di antrace, quella che era solo un’eventualità ha per la prima volta assunto i contorni di una minaccia reale.

Gli analisti statunitensi ed europei sono oggi concordi nell’attribuire agli agenti biochimici e nucleari il più alto livello di pericolosità tra le armi di distruzione di massa. Rispetto all’impiego di armi convenzionali, infatti, l’attacco biologico o radiologico appare più idoneo al raggiungimento dei fini perseguiti dalle organizzazioni terroristiche, in primo luogo sulla base di una considerazione di ordine psicologico. Le contaminazioni radiologiche, così come la diffusione di virus e batteri, sono al di fuori della tradizionale concezione di aggressione: colpiscono indiscriminatamente tutta la popolazione provocando una generalizzata sensazione di vulnerabilità.

I rischi connessi all’uso di armi CBN in prospettiva terroristica sono di due tipi: da un lato il furto e/o il trafugamento di materiale radioattivo (scorie e combustibile, specie se già irradiato) da parte di gruppi terroristici, per la costruzione di armi non convenzionali. In questo frangente risultano particolarmente attivi i paesi dell’area ex-comunista, dove l’immenso arsenale nucleare è in balia di se stesso senza alcun controllo; dall’altro, possibili attacchi di cui potrebbero essere oggetto centrali e depositi di scorie, con conseguenti effetti devastanti. Alla luce degli eventi dell’11 settembre e della situazione di disordine interno di certi Stati, entrambi questi scenari risultano attualmente verosimili.

Ma quali sono i fattori che rendono plausibile l’ipotesi di una ricerca rivolta all’acquisizione di "materie prime" nucleari da parte di gruppi terroristici? Anzitutto, la costruzione di un’arma biochimica non presenta particolari complessità: bastano pochi batteri e qualche nozione di microbiologia per coltivare delle pericolose spore di carbonchio. Allo stesso modo non è necessario possedere sofisticate tecnologie per sintetizzare degli aggressivi chimici per produrre sostanze tossiche come gas nervini. Si potrebbe obbiettare che queste considerazioni non valgono per la fabbricazione di ordigni nucleari, che richiedono grosse quantità di materiale radioattivo ed elevate competenze tecniche. Tuttavia, senza arrivare alla costruzione di una bomba atomica, anche con modeste quantità di materiale radioattivo è possibile progettare attentati in grado di provocare delle contaminazioni di massa. Elementi radioattivi quali uranio arricchito o altro materiale nucleare, infatti, possono essere facilmente acquistati sul mercato nero, in particolare nell’ex-URSS e/o nell’area balcanica, dove scienziati e tecnici mal pagati fungono da contrabbandieri. A questo si aggiungano gli insufficienti controlli sui depositi di materiale radioattivo e il probabile sostegno (o collusione) dato alle organizzazioni terroristiche dai cosiddetti "stati canaglia", come l’Irak.

Altro elemento che accomuna le armi non convenzionali, rendendole particolarmente appetibili ai gruppi terroristici, è il loro basso costo sul mercato del contrabbando internazionale.

Infine, oltre ad essere facilmente fabbricabili, reperibili e acquistabili, gli ordigni biochimici sono anche facilmente trasportabili. Questo fattore rappresenta il vero punto nevralgico del pericolo NCB. Il traffico su scala internazionale e transnazionale di ogni tipo di "sorgente nucleare" è fiorente. Secondo i dati forniti dalla IAEA, Agenzia specializzata dell’ONU per l’energia atomica, dal 1994 al 2000 si sono registrati ben 175 episodi di traffico illecito di materiale nucleare. Ma enormi quantitativi di altro materiale nucleare continuano a girare il mondo. I sequestri effettuati riguardano il 10-20% del traffico totale, lasciando pertanto inalterato il livello di rischio.

A fronte di questa situazione, sono state elaborate due convenzioni internazionali riguardanti rispettivamente la protezione fisica del materiale nucleare e la regolamentazione delle armi batteriologiche. Tuttavia, l’applicazione di tali disposizioni è ancora insufficiente a garantire un adeguato livello di sicurezza a causa, da un lato del (l’ancora troppo) basso livello di protezione degli impianti nucleari e, dall’altro, della mancanza di una forte volontà politica di porre fine a questo pericolo.

Ma se le connessioni fra terrorismo e armi non convenzionali sono possibili (oltre che esistenti), la lotta al terrorismo non dovrebbe passare anche per il canale del contrasto ad ogni tipo di proliferazione di questo tipo di armi?

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