Strage di Stato?
Le logiche del terrorismo e gli assassini di Biagi e D’Antona.
E’ morto Pietro Valpreda. Era un personaggio simbolo dei tragici misteri che avevano funestato questa nostra Italia negli anni della strategia della tensione. Anarchico individualista, fu trattenuto in carcere per alcuni anni sotto la falsa accusa di essere stato l’autore, il 12 dicembre 1969, della strage di piazza Fontana a Milano, che provocò 17 morti e 84 feriti. Fu, questa, la prima di una serie di stragi terroristiche che insanguinarono lo stivale negli anni seguenti. Valpreda fu poi riconosciuto innocente ed il grave delitto è stato infine attribuito ad esecutori di estrazione fascista. Ancora oggi ne è ignoto il mandante, come lo è quello della strage di piazza della Loggia (Brescia 1974), della stazione di Bologna (1980) e delle altre di eguale segno. Poiché infatti vi è stata una sequenza di atti di terrorismo stragistico collegati da una coincidenza di caratteri strutturali che, mentre li compongono in una comune identità fra di loro, li distinguono nettamente da tutti gli altri atti di terrorismo che, in Italia e nel mondo, affliggono questa nostra epoca.
Il terrorismo è un mostro generato dal sonno della ragione. E tuttavia ha una sua perversa coerenza logica interna. I terroristi sud-tirolesi che nei primi anni ’60 turbarono la nostra regione avevano alle spalle un intero popolo mobilitato in una rivendicazione che attingeva a profondi sentimenti, ed assegnavano ai loro attentati dinamitardi il significato di un messaggio rivolto ad una platea che sapevano incline a raccoglierlo. La stessa situazione, caratterizzata appunto da un preesistente vasto fermento etico-sociale e quindi da un ambiente propizio, la ritroviamo per i terroristi baschi dell’ETA e per quelli irlandesi dell’IRA. Le Brigate Rosse degli anni ’70 si muovevano sulla cresta di un’onda che veniva dai moti studenteschi e operai del ’68 e del ’69, miravano a scalzare l’egemonia della sinistra tradizionale, il PCI ed i sindacati, puntando a sviluppare la supposta potenzialità "rivoluzionaria" dei vari movimenti extraparlamentari. Anche le Brigate Rosse dunque erano inserite fra un retroterra culturale ed una platea che consideravano propensa ad assecondare il loro impulso.
I kamikaze palestinesi sono figli di una immane sofferenza popolare, pervasi da una cultura del sacrificio salvifico, dominati da un intento di odio vendicativo
Bin Laden ha portato la logica perversa del terrorismo al più alto livello di chiarezza e sofisticazione. Ha assunto la rappresentanza di enormi masse di derelitti, le ha caricate del fervore mistico di un credo religioso, si è valso degli strumenti più avanzati della tecnologia del mondo evoluto, ha colpito con spettacolare precisione i simboli più vitali della scenografia rappresentativa del nemico. Gli elementi strutturali tipici del terrorismo in Bin Laden sono presenti allo stato puro: un vasto movimento rivendicativo; l’esortazione all’azione violenta; la truce intimidazione, cioè l’intimazione minacciosa, verso il nemico; la facile riconoscibilità della fonte e del movente dell’atto terroristico.
Nessuno di tali elementi è riscontrabile nelle stragi della strategia della tensione. Non un manifesto disagio popolare che le avesse generate, non una rivendicazione, non l’indicazione di obiettivi da colpire o di fini da perseguire, nessun indizio della loro provenienza. La stessa indeterminatezza e generalità delle vittime provocate le rivestiva del più totale mistero. Anzi, come nel caso di Valpreda, tutti gli intrighi di depistaggio verificati nelle indagini tradivano una regia occulta che semmai tentava di farle attribuire a terroristi di sinistra. Ed invece in ciascuna di esse quel poco che si è saputo rivelava la partecipazione di esecutori provenienti dalla destra eversiva. Tanto che sono state archiviate come stragi di Stato, espressioni cioè di un terrorismo manovrato dall’interno del potere.
E’ provocatorio o semplicemente ragionevole domandarsi se gli arcana imperii, i misteri del potere, che hanno originato le stragi sono cessati o non siano invece ancora operanti? Gli assassinii di Massino D’Antona e di Marco Biagi assomigliano assai più alle stragi misteriose che agli schemi propri del terrorismo. Non ingannino le rivendicazioni: non c’è nulla di più facile da simulare che tali rivendicazioni. Ciò che manca totalmente è il clima, l’humus nel quale formazioni terroristiche possono nascere ed agire. Per D’Antona l’unica spiegazione che allora era stata ipotizzata fu, da parte di Berlusconi, che si era trattato di un regolamento di conti interno alla sinistra. Per Biagi le oscure ma tempestive manovre attorno alle sue lettere, la negligenza ostinata nel fornirlo di una scorta, le fantasiose minacce di Cofferati fattegli pervenire da una sconosciuta interposta persona, ritenute irrilevanti per dotarlo di una scorta ma oggi preziose per screditare il leader sindacale, sono tutti elementi che gettano sul dramma una pesante ombra di sospetto. Per entrambi i casi poi è clamorosa la vanità delle indagini per scoprire i colpevoli. Inerzia ed insufficienza di indagini che ricordano i depistaggi in quelle sulle stragi.Non ho spazio per approfondire l’analisi, ma se il sospetto fosse fondato, come penso, l’allarme per ciò che sta accadendo mi sembra dei più inquietanti.