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La verità sull’eccidio di Malga Zonta

Francesco Piscioli

E’ scontato essere accusati di "negazionismo", revisionismo, volendo ricostruire gli eventi dell’eccidio di Malga Zonta del 12 agosto 1944, dopo oltre cinquant’anni, discostandosi da quanto sino ad oggi conosciuto. Incredibilmente del più noto episodio resistenziale trentino non sono mai state fatte indagini conoscitive, né esiste una pubblicistica che narri quanto avvenne. Appena nominato consigliere comunale di Folgaria, ho potuto percepire l’indifferenza diffusa della collettività verso quel tragico evento.

Malga Zonta oggi.

Ho potuto acquisire fonti di informazioni attendibili che incredibilmente non avevano mai avuto voce. Per questo nella convinzione che la menzogna è incompatibile con la storia, ritengo doveroso ricostruire quell’episodio nel rispetto dei caduti.

La notte del 12 agosto 1944 i tedeschi alle ore 2.30-3.30 circondavano le malghe dopo il Passo Coe. Verso le ore 5-5.30 incominciò il rastrellamento con il raduno ed identificazione delle persone presenti in detto territorio. Quando i tedeschi giunsero alla Malga Zonta, la sentinella partigiana intimò "l’alto là, chi va là, parola d’ordine" e non avendo avuto risposta sparò per avvisare chi si trovava nella malga. I tedeschi fecero irruzione ma trovarono una reazione armata. Un sottufficiale tedesco venne ucciso sulle scale. Continuò la sparatoria con la morte di 5-7 tedeschi ed alcuni feriti. Il Viola e qualcun altro sparavano alcuni colpi ogni tanto. Il fuoco tedesco era continuo. Alla fine gli occupanti del primo piano dell’abitazione, uscirono e vennero allineati sotto la tettoia della porcilaia. Poco dopo il controllo da parte dei tedeschi, dovettero uscire anche i malgari, che avevano come dormitorio una parte della casara. Vennero così tutti allineati con le mani alzate sotto la tettoia della porcilaia. Furono risparmiati dai tedeschi diversi malgari. Le due fotografie sono riportate con il commento: "gli ultimi istanti degli eroi". In realtà dalle testimonianze raccolte dei due unici attuali sopravvissuti, Bruno e Antonio Fabrello, residenti ad Arsiero, si apprende che oltre a loro furono risparmiati dai tedeschi alcuni malgari, riconosciuti, prima della fucilazione che si verificò tra le 8 e le 8.30 dagli indumenti sporchi di stallatico e scarpe da lavoro (sgalmere) e fatti spostare sulla sinistra della porcilaia. Dette persone, ritratte nella foto, di cui si credeva fossero stati fucilati, e che si salvarono secondo le testimonianze di Fabrello Bruno e Antonio sono:

Bauce Domenico (Menego), anni 40, casaro sulla Malga Zonta, presumibilmente morto nel 1971 e da ulteriori ricerche morto a Valdagno il 19.4.1968; Fabrello Antonio (Toni il Rosso), anni 17, attualmente superstite vivente ad Arsiero; Gino Corneali, anni 16, da Recoaro, emigrato in Francia, morto 4-5 anni fa di ictus cerebrale; Fabrello Giuseppe, anni 22, da Arsiero, morto a 49 anni; Scatolaro Francesco, anni 19, da Arsiero, morto a 63 anni; Fabrello Bruno, di Arsiero, di anni 17, vivente; Fabrello Luigi, anni 17, da Velo D’Astico; Brunello Antonio (Tonin) di anni 70, sempre alle spalle di Fabrello Bruno; Martini Giuseppe, da Arsiero, anni 24; Ernesto Piccoli, anni 16, coperto da Fabrello Bruno; Storti Bruno, da Recoaro, anni 16, coperto da Fabrello Bruno.

I 17 caduti a Malga Zonta, i cui nomi sono riportati sulla lapide, vennero trasportati in un primo tempo nella casara e poi sepolti in una buca poco distante dalla casa d’abitazione della stessa Malga, la quale si era parzialmente formata per lo scoppio di una bomba della guerra 1915-18. Vennero sepolti quattro a quattro con sopra il Viola, vennero coperti con la poca terra che si trovava nella buca e con sassi prelevati da un muro vicino.

Dalla testimonianza della signora Annetta Rech attualmente residente a Morganti di Folgaria (TN) risulta che le due fotografie la cui riproduzione è presente sulla lapide del monumento di Malga Zonta, non furono rinvenute nel portafoglio di un tedesco ma consegnate assieme ad una terza fotografia dalla stessa Annetta Rech al Generale Donà e da questi a Bice Rizzi, direttrice del Museo del Risorgimento di Trento, presso il quale tuttavia non sono reperibili. La Rech ebbe le tre fotografie da Karl Willmann, sottufficiale tedesco, presso il Comando tedesco di Lavarone.

La terza fotografia rappresentava delle persone inginocchiate con le mani appoggiate sopra il capo.

La riesumazione dei caduti di malga Zonta fu eseguita negli ultimi giorni di maggio del 1945. Secondo le testimonianze avute dalla sig. Losco Costantina (Rina) abitante a Torre Belvicino (VI) e dal sig. De Pretto Gino abitante nel comune di Posina (VI), una quindicina di persone erano presenti alla riesumazione. Costantina Losco afferma che il cadavere di Bruno Viola, conosciuto come "Marinaio", fu riconosciuto sulla base di un dente d’oro. De Pretto Gino racconta che il Marinaio fu il primo a essere riesumato e lo riconobbero da una casacca da marinaio e da uno o due denti d’oro. Il fratello gemello De Pretto Gildo fu riconosciuto da un braccio e una mano malformata fin da bambino.

Bruno Viola.

I familiari viventi di Bruno Viola, tre sorelle ed un fratello (Viola in Ceola Maria, classe 1930, Viola in Valente Rosina, classe 1932, Viola in Maggiorin Genoveffa classe 1936 e Viola Francesco classe 1938, tutti residenti nel comune di Caldogno (VI), affermano che il cadavere di Bruno Viola non fu riconosciuto da alcun familiare né al momento della riesumazione, né nei giorni in cui fu depositato presso una sala a Schio (VI). I familiari vennero avvertiti da un messo comunale di Schio dopo 8 giorni della presumibile riesumazione e si dicono certi che il fratello era assolutamente privo di denti d’oro. Ricordano che la madre visse gli ultimi anni nella convinzione che non fosse il figlio quello che risulta tale essere sepolto a Caldogno, e ha sempre vissuto nella speranza di un ritorno. Purtroppo non era a conoscenza del fatto che secondo il registro dei deceduti della parrocchia di Caldogno, anno 1944 – 1945, Bruno Viola figlio di Redenzio e di Marina di anni 19, che il giorno 6 agosto 1944 cadde in azione partigiana a Folgaria, fu sepolto il giorno 5 giugno 1945.

In conclusione non esiste alcuna testimonianza che dimostri che l’uomo fucilato a Malga Zonta come Bruno Viola fosse lui. Il cadavere di Viola non è mai stato riconosciuto. È’ obbligo morale richiederne la riesumazione, in quanto con le sofisticate tecnologie disponibili sarà possibile stabilire, confrontando il DNA del cadavere con quello dei parenti, se Viola è stato sepolto a Caldogno o no.

Commemorare senza riportare la verità i caduti di Malga Zonta, significa perpetuare un’offesa alla dignità di chi ha sacrificato la vita, dei sopravvissuti e dei parenti.

Il valore della Resistenza si ricorda e si tramanda nella verità, solo nella verità.