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QT n. 13, 29 giugno 2002 Monitor

Monster’s Ball - L’ombra della vita

Film di grande intensità, diretto con con eleganza ed essenzialità da Marc Foster, svizzero americanizzato.

Il titolo originale, "Monster’ Ball", allude alla macabra cerimonia che nel corso dell’800 nelle prigioni inglesi era d’uso nel braccio della morte la sera prima di un’esecuzione capitale, prova generale quasi ad esorcizzare l’infausto potere, definita appunto "la danza del mostro" per via delle contorsioni del condannato, ieri sulla forca, oggi sulla sedia elettrica; scena difatti ripresa in una delle sequenze iniziali con puntualità e precisione nel descrivere azioni, moti fisici ed emozionali delle guardie addette al servizio.

Bill Bob Thornton.

Tale premessa potrebbe far pensare a un tipico film carcerario, quali molti ne sono passati sugli schermi; invece si tratta di un film insolito che, attraverso una storia spietata e situazioni di crudo realismo, assomma in sé, assieme ai tratti propri del genere nei suoi risvolti più funesti e crudeli, attesa e messa in atto dei rituali e dell’adempimento finale, quelli del film familiare drammatico, con relazioni inasprite e dolorose, che volgono le vite alla deriva; e i tratti del film d’amore, ma amore speciale, che prospetta speranza e via d’uscita, e diviene simbolo di fiducia nella vita, comunque e pur dopo le prove annientanti e le brutture vissute, lasciando un finale aperto. Un film, diretto con sensibile eleganza ed essenzialità dal trentenne Marc Forster, svizzero trasferito negli USA, di forte interesse e grande intensità emotiva, che tocca e coinvolge il sentimento dello spettatore, e pone insieme temi esistenziali e civili di profonda umanità e spessore, che ne stimolano la riflessione.

In una vicenda assai articolata, i due protagonisti si incontrano nel momento più tragico delle loro esistenze e i loro destini, a loro insaputa già contigui, ora si incrociano: Hank è guardia carceraria e capo della squadra che prepara e accompagna alla morte il condannato, come già suo padre e, come lui pretende, sarà anche suo figlio, da lui stesso addestrato al mestiere nella medesima prigione, ma con scarso risultato perché troppo sensibile e pietoso davanti alla morte organizzata; come dimostra nel corso dell’esecuzione del negro Lawrence, che lascia disperati la giovane moglie Leticia e il figlio preadolescente, afflitto da obesità e bulimia. Hank redarguisce violentemente il figlio per la sua intollerabile debolezza, e questi risponde togliendosi repentino la vita davanti a lui con un colpo di pistola. Hank lascia il lavoro al penitenziario.

In una notte piovosa, egli soccorre sul ciglio della strada Leticia e suo figlio gravemente ferito da un’auto pirata; ma la corsa all’ospedale non riuscirà a salvare il ragazzo. I due infelici, ignari delle reciproche identità, si avvicinano, si frequentano e si innamorano. Sono anime morte, senza orizzonte, chiuse nel dolore e nella solitudine, che all’inizio si capiscono solo su questo perché altro non c’è, ma via via si fanno attenti alle piccole cose di ogni giorno e ai vicendevoli bisogni, noncuranti di razzismi, eventuali malintesi o incomprensioni, riscoprendo sensibilità da troppo sepolte.

Lo spettatore si chiede se queste due creature, così diverse in tutto tranne che nelle aggressioni avute dalla vita, e tramandate di padre in figlio, ce la faranno poggiati sull’esile filo dei sentimenti, anche se forti, del desiderio, anche se intenso e umano, a lasciarsi il greve passato alle spalle per assaporare la dolcezza di un amore tangibile nel quotidiano, reciprocamente solidale e complice, iniziando da capo e rimettendosi in gioco, fidando ancora nella vita.

Il film scorre narrativamente sostanziale; ogni evento, dialogo, dettaglio sono esattamente al loro posto, dove devono essere per lo sviluppo significativo della trama, affidata all’immagine più che alla parola, spesso sostituita da sguardi, gesti, silenzi, molto espressivi del lento movimento interiore che porta Hank, dopo la morte del figlio, a cambiare così profondamente.

L’attore interprete di questo complesso personaggio, Bill Bob Thornton, è eccezionale, capace con un solo sguardo o espressione di evocare abissi di sentimento, l’intero flusso di una vita di desolazione. La sua bravura è nella semplicità e nell’asciuttezza (ricordando Montgomery Clift), con le quali sa rappresentare, senza spiegazioni verbali, il suo progressivo mutamento, il suo affacciarsi, quale persona ancora viva e capace di ascoltare il cuore e guardare all’altro, in un mondo finora mai percepito, lasciando il mondo arido e vuoto dove era stato soltanto un ruolo, negazione dell’emozione, indiscusso ed eseguito, tramandato per linea paterna. Altrettanto splendida e intensa è l’interpretazione di Halle Berry, bellissima e vera nella sua richiesta di stare bene e vivere infine con tutta se stessa.

Questa storia di evoluzione, da un vivere immobile in un materialistico orizzonte a un vivere più elevato da una sensibilità più attenta, da una tenerezza più responsabile, da un recuperato calore da elargire, con un fine costruttivo di amore, è iscritta tra due sequenze di sesso, non uguali o di ripetizione, ma l’una rimando dell’altra, la seconda rinnovata da una basilare variazione, che dà un’apertura di senso nuovo alla nuova fase di vita: la scena iniziale, di uno squallore imbarazzante, mostra con scabri tocchi un sesso mercenario, riempitivo di una solitudine alienante, che tale resta; la seguente, da cui scaturisce la storia d’amore, di grande forza e intensità, restituisce la passione e la partecipazione emotiva dei due protagonisti, che, attraverso il corpo e un sé ritrovato, cercano di comunicare il sopito ma urgente bisogno di amore e calore.

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Commenti (1)

LA MIA VISIONE DEL FILM "MONSTER'S BALL" IL DUCA FRANCESCO

E' SEMPLICEMENTE UN FILM STUPENDO!
PER IL PROTAGONISTA LA CRISI, CONSEGUENTE AL SUICIDIO DEL FIGLIO, LO PORTA A SCROLLARSI DI DOSSO UN ABITO MENTALE CIECO E MESCHINO, TROVANDO DI CONVERSO UNA DECENTE CONDIZIONE UMANA, CONDIZIONE CHE INVECE APPARE SEMPRE PRESENTE NELLA PROTAGONISTA FEMMINILE.
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