Il ritorno di Kreisky
Una mostra a Bolzano ricorda la figura straordinaria di un politico di grande respiro internazionale, a lungo osteggiato e ignorato in Sudtirolo.
I socialdemocratici in Sudtirolo sono stati mosche bianche. Dall’annessione all’Italia nel 1919, quando i dipendenti pubblici (ferrovieri, postali, insegnanti, ecc.) si trasferirono in gran parte nel nord del paese rimasto all’Austria, venne a mancare la base per un movimento politico socialista. Nel secondo dopoguerra la necessità di rimanere uniti nel partito di raccolta fece sì che i tentativi di articolare la rappresentanza politica venissero condannati come un tradimento verso la minoranza. Egmont Jenny, amico di Bruno Kreisky, che cercò di legittimare una corrente socialdemocratica all’interno della SVP, venne espulso dal partito e osteggiato anche personalmente per tutta la vita. La fondazione di un partito di ispirazione socialista e liberale ebbe un piccolo successo, ma non durò a lungo.
Bruno Kreisky, ministro degli esteri austriaco dal 1969 e poi a lungo cancelliere, come uno dei suoi primi atti politici portò la questione sudtirolese davanti all’ONU. In seguito alla sua iniziativa si mise in moto la diplomazia, che portò ad una prima proposta di soluzione a metà degli anni Sessanta. L’appartenenza politica di Kreisky ad un’area poco amata dall’ultraconservatorismo sudtirolese e tirolese fu per molti osservatori la ragione che fece respingere da parte della SVP la proposta, rimandando di un lustro la soluzione, che si ebbe nel 1969.
Fu proprio il cancelliere socialista tuttavia ad impostare la questione nei termini che oggi conosciamo: il suo convinto internazionalismo gli permise di spiazzare l’impostazione tradizionale di conflitto fra due Paesi, l’Italia e l’Austria, che vedeva la prima rivendicare la questione sudtirolese come interna, mentre la seconda rivendicava il diritto ad intervenire oltre il confine a sostegno dell’interesse dell’ex popolazione austriaca.
Kreisky, basandosi sul trattato di pace del 1955, sviluppò la politica della neutralità austriaca che avrebbe permesso al suo Paese di esercitare un forte ruolo internazionale (chi scrive lo intervistò nel 1985 e dovette aspettare a lungo nell’anticamera di casa sua nel quartiere a nord di Vienna dove abitava sotto il Kahlenberg, vedendo uscire dal lungo colloquio nientemeno che Arafat); in politica interna sostenne con successo la politica della piena occupazione e l’entrata in politica delle donne e dei loro diritti; ma, benché ebreo, sostenne anche, per ragioni di potere, posizioni politiche che avrebbero contribuito non poco alla diffusione della dimenticanza delle responsabilità nel nazismo e dell’antisemitismo.
Ricordando le sue parole nell’intervista del 1985 ("Il problema del Sudtirolo è risolto, ma per i politici è difficile tagliare il ramo su cui stanno appollaiati") è stato strano vedere gli esponenti della destra SVP partecipare all’inaugurazione della mostra nel foyer della Haus der Kultur di Bolzano, che ricorda la figura straordinaria di un politico di grande respiro europeo e internazionale, tanto a lungo osteggiato e ignorato.
Che cosa significa? Un’insospettata apertura verso il pluralismo o piuttosto la certezza che ancora per molto non esiste alcun pericolo di pluralismo?
E’ curioso che il socialista Kreisky, il cui motto era "Per rimanere viva, la democrazia ha bisogno di movimento", venga celebrato in Sudtirolo dagli esponenti dell’immobilismo politico più duraturo nell’Europa democratica.