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QT n. 4, 23 febbraio 2002 Monitor

Il viaggio di Makbetas

Appassionante la rappresentazione lituana del Macbeth del Teatro Meno Fortas di Vilnius.

Cobelli e Nekrosius, "Macbeth" e "Makbetas". Solo una stagione li separa, eppure la distanza fra di loro è pari a quella fra il Sole e Plutone. La pièce shakespeariana è come il cilindro d’un prestigiatore: può uscirne qualsiasi cosa, ma a volte il trucco riesce male: come Cobelli ha tradito, persino snaturato la tragedia (Macbeth al macello), così Nekrosius l’ha esaltata, sviscerando una trama tanto cupa quanto elementare.

La sete di potere tenta Makbetas e la sua Lady, li innalza e li sprofonda nella solitudine, assassinio dopo assassinio. Nessuna condanna, solo affetto e comprensione per i boia di Banquo e di re Duncan. Cosa insolita, le streghe - motore d’azione nel testo originale - divengono centrali, onnipresenti ed onniscienti; ogni evento, gesto, parola dipende da loro, nonostante non abbiano il potere di cambiare il corso del tempo. Nekrosius crede al destino, meno al libero arbitrio, reinventa i personaggi, dà loro una dimensione umana e tragica che solo un genio sa mettere in scena. Le vecchie megere di sir William? Donne giovani, sensuali, provocanti, ma capaci all’occorrenza di essere gentili, quasi materne di fronte all’angoscia di Lady Makbetas.

Ogni pezzo torna al suo posto. Gli attori sono carne, le loro azioni sogno, un gioco simbolico di cui hanno perso la chiave. Dalla platea, dal di fuori, proviamo a interpretarlo, ma quel "di fuori" smarrisce poco a poco i suoi confini, ci inghiotte nella storia. Sì, perché "Makbetas" non va capito; va vissuto, recitato con la compagnia. Per una volta, dimentichiamo di essere un pubblico e, quando tutto è finito, ricordiamo frammenti, come appena svegli. Il mosaico stenta a ricomporsi, ma poi i rivediamo, ritroviamo noi stessi tra gli alberi della foresta di Birnam.

Difficile pensare a una lettura più profonda della pièce. Per berla non basta conoscerne a memoria i cinque atti e, forse, non serve nemmeno. Il regista non ci chiede di seguire un percorso logico, ma di viaggiare con lui in un mondo dove si fondono crudeltà e dolcezza; spiegarlo vorrebbe dire ucciderlo. Qualcosa, però, bisogna pur dire…

Lo spettacolo si fonda innanzitutto sullo scontro (dialogo?) fra gli elementi: acqua, fuoco, terra. E a ben guardare, non è tanto il lato magico quello più importante. Le lucerne, il calderone, il catino in cui si spengono i tizzoni, appartengono al folklore e all’immaginario. Nekrosius fa rivivere sul palco il suo stesso popolo, come se Shakespeare avesse scritto il "Macbeth" per i lituani e non per gli inglesi. A riprova che i capolavori non hanno confini né patria. Fatto sta che i gesti esasperati degli attori rimandano sì alla Commedia dell’Arte, all’espressionismo dei film muti, ma si riallacciano soprattutto al teatro popolare e alle grandi coreografie russe (Nijinski, Fokine), dove gesti e passi di danza sono insieme fiabeschi e grotteschi. Sommersa da silenzi e musiche assordanti - moderne ma tribali - la vicenda è stilizzata, evocata in un’allucinazione collettiva. Il tempo si dilata, epico, opprimente come nei "Nibelunghi" di Fritz Lang.

Eppure non c’è ombra di psicologia, nulla di introspettivo: purezza e corruzione non restano nei meandri dell’inconscio, si affacciano all’esterno, si raccontano attraverso i corpi. Corpi di contadini, come ci ricordano le pietre franate ai piedi di Makbetas, gli alberi, le mele che nulla hanno a che vedere con Biancaneve o il frutto proibito dell’Eden. Verdi come le foglie, non sono altro che un prodotto della terra. Perché la terra dà e la terra toglie. La favola finisce in un triste "Miserere": tutti muoiono, anche le streghe, sconfitte dal destino: si stendono sul palco che sembra ormai una tomba, una fossa comune. Impossibile dimenticare ciò che abbiamo provato.

Il Teatro Meno Fortas di Vilnius ha spinto all’estremo la potenza di Shakespeare, con una Lady Macbeth (Dalia Storyk-Zykuviene) di un’intensità straordinaria. Un miracolo reso possibile perché, come dice Nekrosius, a recitare "non era la testa, ma il cuore".

Peccato che i trentini abbiano stentato a riempire il teatro, mentre con Cobelli, la scorsa stagione, hanno fatto a gara pur di avere un biglietto.

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