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Toghe rosse in Cassazione

Le bugie di Berlusconi: una prescrizione trasformata in dichiarazione di innocenza.

E’ stata depositata in questi giorni la motivazione della sentenza della Corte di Cassazione pronunciata il 16 novembre scorso nel processo per il caso Mondadori, e ora conosciamo meglio le ragioni per cui i giudici non hanno assolto Berlusconi dalla corruzione ma hanno dichiarato prescritto il reato grazie alla concessione delle attenuanti generiche (che si applicano, come è ovvio, non agli innocenti ma solo ai colpevoli o presunti tali ).

La vicenda è nota, ed è sufficiente riassumerla sinteticamente. Qualche anno fa la Procura di Milano aveva chiesto il rinvio a giudizio di Silvio Berlusconi, di Cesare Previti, degli avvocati Acampora e Pacifico con l’accusa di avere comprato, corrompendo il giudice Metta, la sentenza che nel 1991 aveva assegnato a Berlusconi il controllo della casa editrice Mondadori. Il lungo iter giudiziario era approdato nella primavera di quest’anno alla Corte di Appello di Milano che aveva confermato il rinvio a giudizio per Previti, Acampora, Pacifico e Metta, ordinando però l’estromissione di Berlusconi, cui concedeva le attenuanti generiche, per prescrizione del reato.

Berlusconi aveva subito gridato vittoria, tentando di trasformare acrobaticamente la prescrizione in assoluzione. Successivamente, forse consigliato dai suoi avvocati, era ricorso in Cassazione chiedendo di venire assolto per non aver commesso il fatto, affermando che i giudici milanesi avevano emesso una sentenza "illogica e contraddittoria". La Corte di Cassazione però gli ha dato torto. Si legge nella motivazione che l’imputato viene rinviato a giudizio ogni volta che "l’ipotesi accusatoria è più probabile rispetto a quella dell’innocenza". Tale regola è stata correttamente interpretata dalla Corte di Appello di Milano, che dopo aver esaminato i fatti "ha ragionevolmente ritenuto che la prospettiva accusatoria era quella avente il maggior grado di probabilità logica". Ne consegue secondo la Cassazione che "la sentenza impugnata (da Berlusconi) non presenta al riguardo alcun vizio logico". Altro che "illogica e contraddittoria" come aveva sostenuto Berlusconi nel suo ricorso!

Se dunque non gli fossero state concesse le attenuanti generiche, Silvio Berlusconi sarebbe oggi sul banco degli imputati nel processo per l’affare Mondadori in corso a Milano accanto a Cesare Previti, Acampora, Pacifico e Metta.

Interessanti e certo sgradevoli a Berlusconi sono le considerazioni che la Cassazione svolge a proposito delle attenuanti generiche concesse dalla Corte d’Appello sulla base di tre motivi. Il primo motivo era il tempo trascorso, quasi 10 anni dal fatto. Scrive la Cassazione: "Il tempo trascorso dal fatto è un elemento neutro ai fini della valutazione della gravita del reato o della capacità a delinquere dell’imputato" (cioè Berlusconi). Tale motivo dunque non vale.

Il secondo motivo era stato individuato dai giudici d’Appello nel "malcostume" del palazzo di giustizia di Roma, ritenuto a torto o a ragione luogo di baratterie (direbbe Franco Cordero) e di traffici simoniaci. Scrive la Cassazione: "La presunta corruttibilità dell’ambiente giudiziario romano non potrebbe attenuare la responsabilità del corruttore (cioè di Berlusconi), il quale anzi ne avrebbe approfittato ribaltando a suo favore l’esito del giudizio di prima istanza". Anche il secondo motivo dunque non vale per la Cassazione, che - bontà sua - ritiene valido solo il terzo, e cioè la condotta di vita successiva al delitto.

Conclusione: ragionevolmente Berlusconi ha commesso la corruzione, ma il reato è prescritto per buona condotta (?!).

Cosa dirà ora Berlusconi? Che anche in Cassazione ci sono "toghe rosse" e "giudici giacobini" ? Certo continuerà a proclamare la sua innocenza. Tutti ricordiamo il suo grido sdegnato e un po’ sacrilego quando venne accusato di aver corrotto la Guardia di Finanza : "Io corruttore? Sarebbe come incolpare suor Teresa di Calcutta!". Ciò nonostante, il Tribunale di Milano lo condannò. In Appello, sempre fortunato, scattò la prescrizione: responsabile sì, ma non più punibile.

I proclami di innocenza di Berlusconi non ci sorprendono più. Indro Montanelli, che lo conosceva bene, ebbe a dire una volta che Berlusconi "è un mentitore professionale, mente a tutti, anche a se stesso al punto da credere alle sue stesse menzogne". Sta di fatto che la credibilità di Berlusconi è molto debole perché colpita in radice fin dal 1990 (prima della sua discesa nel campo della politica) dall’accusa di "spergiuro". Nel corso di un processo Silvio Berlusconi aveva dichiarato come testimone di non ricordare la sua data di iscrizione alla loggia P2 (quella di Gelli) e che comunque non aveva mai pagato la quota di iscrizione.

La Corte di Appello di Venezia cui il processo era approdato ritenne invece che le dichiarazioni rese da Berlusconi sotto giuramento "non rispondessero a verità". Erano infatti smentite dalle risultanze della commissione Anselmi, e dagli elenchi sequestrati a Castiglion Fibocchi, dove accanto al n°625 figurava il nome di Berlusconi con l’annotazione del versamento di £ 100.000 in contanti eseguito il 5 maggio 1978. "Ne consegue - scrive testualmente la sentenza n° 97/90 - che il Berlusconi deponendo avanti il tribunale di Verona ha dichiarato il falso".

Il fatto accertato in sentenza è particolarmente grave perché la menzogna non riguarda l’aver preso la marmellata senza dirlo alla mamma, ma l’iscrizione a una società segreta, eversiva della Costituzione e della Repubblica. Anche in quella occasione Berlusconi fu molto fortunato e accorto: era nel frattempo intervenuta l’amnistia, che la Corte di Venezia giustamente gli applicò, anche perché Berlusconi, che poteva rifiutarla, non lo fece.

Perché Berlusconi non rifiutò l’amnistia senza fornire spiegazioni, né allora né dopo? Colpevole o innocente (auto-inventato?). Qual è la verità?

Se fosse un uomo di spirito, Berlusconi potrebbe far sue le parole di un personaggio di Pirandello nei Giganti della montagna: "Io ho sempre inventato la verità, e alla gente è parso sempre che dicessi bugie. Non si dà mai il caso di dirla, la verità, come quando la si inventa".