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I mezzi e i fini della guerra

Secondo notizie diffuse da giornali europei, da agenzie e televisioni, sarebbe stato compiuto in Afghanistan un massacro di Talebani prigionieri e inermi, addirittura con le mani legate dietro la schiena. nella prigione di Qala I Jahngi, nei pressi di Mazar I Sharif (che, ironia della sorte, significa "la città del Santo"). Lo sterminio sarebbe stato compiuto dalle bande armate che compongono l’Alleanza del Nord, con la cooperazione delle forze speciali e degli aerei americani. La prigione infatti è stata bombardata anche dal cielo con i detenuti dentro. I sopravvissuti poi sono stati uccisi senza pietà. Si dice che un gruppo di loro si era ribellato, aveva preso possesso della prigione dove si era barricato e sparava contro i Mujahiddin, decisi a morire piuttosto che arrendersi.

La notizia è molto probabilmente vera, altrimenti sarebbe inspiegabile il bombardamento simultaneo e coordinato dell’artiglieria da terra e degli aerei americani dal cielo. E’ indubbio però che i Talebani prigionieri con le mani legate dietro la schiena non possono avere sparato, né partecipato in alcun modo alla rivolta. Riferiscono i giornalisti che la maggior parte degli uccisi, alcuni con un colpo alla nuca, facevano parte della legione straniera di Bin Laden: arabi, pakistani, ceceni, uzbeki, ecc. Anche a loro era stato concesso di arrendersi, garantendo salva la vita. Infatti da Konduz, dove avevano combattuto e poi trattato la resa, vennero condotti alla prigione di Qala I Jhangi dove fu consumato l’orrendo massacro.

I primi giornalisti che arrivano sul posto vedono alcuni Mujahiddin strappare denti d’oro ai cadaveri e tagliare frettolosamente le corde attorno ai polsi degli uccisi. Amnesty International chiede un’inchiesta e la punizione dei responsabili, perché la deliberata eliminazione di centinaia di Talebani prigionieri costituisce un crimine di guerra. La Convenzione di Ginevra che garantisce l’incolumità fisica dei prigionieri e i loro diritti di esseri umani vale anche per i Mujahiddin e i Talebani, e naturalmente vale anche per i soldati americani e inglesi che si trovano in Afghanistan.

Purtroppo si ha notizia di altri massacri ingiustificati. A Takhta Pol, vicino a Kandahar, un comandante di guerriglieri Pashtun si è vantato con i giornalisti di aver fatto fucilare 160 Talebani appena catturati alla presenza di militari americani, che non si sono opposti ed hanno filmato l’evento.

I filmati della Bbc e le testimonianze dei fotografi mostrano che l’attuale guerra contro il terrorismo ha assunto un aspetto barbarico e anche di pulizia etnica, in spregio ad ogni norma che tende a far rispettare i diritti dei combattenti. A Takhta Pol infatti e a Mazar I Sharif si è avuta, per fortuna su scala ridotta, la ripetizione della strage di Srebrenica in Bosnia (per cui ora è in carcere Slobodan Milosevic). Srebrenica è un crimine contro l’umanità dovunque avvenga, in Bosnia o in Afghanistan, e chiunque lo commetta. Sui valori non si può transigere, tanto più che questa ci è stata presentata come la guerra del Bene contro il Male.

Non possiamo dunque comportarci come i terroristi. Rischiamo di contaminarci, di distruggere i valori per i quali combattiamo. Questa non è solo la guerra degli Stati Uniti contro Bin Laden, ma dovrebbe essere anche la nostra guerra in difesa della democrazia, della libertà, della giustizia. Con convinzione quindi partecipiamo alla sconfitta dei Talebani e alla cattura di Bin Laden. Con altrettanta convinzione affermiamo non essere vero che il fine giustifica i mezzi. Noi Italiani lo sappiamo da secoli direttamente dal Machiavelli e attraverso la lettura dei suoi sudiosi: "In un conflitto l’unico giudizio possibile è quello politico, cioè di conformità del mezzo al fine" (Antonio Gramsci, "Note sul Machiavelli"). "Il primo segno di corruzione di una società ancora viva si ha quando il fine giustifica i mezzi" (Georges Bernanos). "Se tutti i mezzi sono consentiti per combattere un male, allora il bene non si distingue più dal male che si vuole distruggere" (Christopher Dawson).

Se le cose stanno così, vinceremmo sicuramente la guerra sul piano militare, ma rischiamo di perderla sul piano della civiltà. Non è un caso se Lucio Caracciolo su la Repubblica del 30 novembre riporta preoccupato il recente decreto di Bush: "Gli stranieri accusati di terrorismo saranno processati da tribunali speciali militari, i quali giudicheranno in segreto e potranno condannare l’accusato a morte senza possibilità di appello".

C’è di più: delle 652 persone arrestate in America dopo l’11 settembre, nessuna è accusata di terrorismo, ma semplicemente sospettata. Eppure, scrive Caracciolo, "costoro non possono conferire con gli avvocati difensori se non accettando che la conversazione sia registrata". Procedura da (santa) Inquisizione.

Tutto ciò è molto grave e mette angoscia e paura quanto gli orrendi massacri afghani, perché se il diritto obbedisce a fini politici, cessa di essere tale e si trasforma nel suo contrario, cioè in mero strumento di potere (come la Polizia o i servizi segreti), con conseguenze devastanti sulla democrazia e sui diritti umani.

Conclusione: contro il Male rappresentato dal terrorismo di Bin Laden non possiamo permetterci di combattere una guerra "sporca" né sul piano militare né su quello giuridico. Finché c’è tempo, è dovere di ciascuno opporsi alla barbarie.