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Paysages d’Italie

Un viaggio ideale e artistico nelle bellezze del paesaggio italiano tra Sette e Ottocento in mostra a Mantova.

Visto l’interesse crescente per la letteratura di viaggio, per le corrispondenze tra luoghi, odori e paesaggi di ieri e di oggi, vi segnaliamo una originale guida (Aldous Huxley diceva che il viaggio "è un’escursione attraverso la storia del pensiero") ricorrendo a particolari viaggiatori del passato che tra la fine del Sette e gli inizi dell’Ottocento hanno lasciato immagini memorabili dell’Italia.

Nerly Friederich, "Balcone a Roma" (olio su carta su tela).

Parliamo di pittori di paesaggio provenienti da ogni parte d’Europa, scelti da Anna Ottani Cavina per una ottima mostra che ha già deliziato i visitatori del Grand Palais di Parigi e che fino al 9 dicembre si terrà a Mantova a Palazzo Te ed ha il merito di riscoprire luoghi di straordinaria carica evocativa attraverso le novità delle tecniche di ripresa dal vero, nella riscrittura aggiornata delle icone di sempre (Colosseo, Vesuvio, Napoli, Capri, Venezia...), a cui si aggiungeranno i luoghi del silenzio e dell’incantamento luministico delle vedute della campagna romana, dei laghi vulcanici, di Tivoli e Sorrento, Olevano e Ariccia...

Definitivo diventa il passaggio dalla ricerca del pittoresco alla pittura della natura così com’è. Il paesaggio storico è ancora imprescindibile, ma è visto attraverso un sentire nuovo, una partecipazione emozionale diversa da quella dei pittori accademici mai usciti dal loro studio. I nostri sono pittori muniti di seggiolino pieghevole che amano dipingere en plein air. François-Marius Granet dipinge un suo collega al lavoro nel Colosseo; Hubert Robert quando è a Nimes dipinge la Maison Carrée, ma in Italia si dimostra attento a cogliere le riflessioni degli "Artisti davanti alle cascate di Tivoli"... Ma sono i pittori inglesi all’origine del paesaggio moderno nella scelta di tecniche rapide di riproduzione del reale. Da Giovan Battista de Gubernatis, ritratto nel suo studio di Parma e definito nella cornice di una precisione illuministica, alla luce fantasmatica, evanescente della stanza veneziana di un Joseph Mallord William Turner sembra esser passato un secolo: quest’opera del 1840 vale da sola un viaggio: strepitosa l’ambiguità dei giochi di luce tra il dentro e il fuori; i suoi dipinti fondano la loro costruzione sul principio dell’immaterialità e della leggerezza. Altri gioielli della mostra mantovana sono rappresentati da lavori di piccolo formato come le "Case sulla scogliera", nella profusione di panni stesi a Napoli (che non sarebbero certo piaciuti al Berlusca) e lo straordinario "Muro" di Thomas Jones (del 1782!) con quella leggera striscia di orizzonte di un celeste di modernissima fattura.

Dall’altra una natura forte che piega il paesaggio ai suoi voleri. E’ di John Robert Cozens l’unico paesaggio alpino in una "Tempesta tra Bressanone e Bolzano" o la splendida tempera di Joseph Wright of Derby con il "Vesuvio in eruzione" dai colori densi come gli sputi del vulcano.

Anche gli studi dal vero non sono più e soltanto momenti funzionali al quadro finito, ma significative evoluzioni di uno studio, di un processo creativo che acquistano dignità artistica, come esemplificato dalla sezione dedicata al pittore francese Louis Gauffier tra disegni e bozzetti d’après nature, fino alla tela realizzata in atelier (sequenza dell’abbazia di Vallombrosa). Un altro pittore francese, Pierre-Henri de Valenciennes metteva invece l’accento sulla "differenza che la luce produce sulle forme a ore diverse del giorno. I cambiamenti sono così sorprendenti che si fa fatica a riconoscere gli stessi oggetti". Capite allora quanto sia diverso questo spirito più vicino alla meraviglia e allo stupore rispetto a quell’altra posizione teorica professata dal pittore italiano del momento, Giovan Battista Lusieri, che si sottoponeva a sedute estenuanti dal vero e che amava dire "Detesto l’abbozzo sommario che lascia spazio all’immaginazione"? Per non parlare dei bellissimi studi di cielo di Johann Schilbach, delle "Rovine di Villa Adriana" di Johann Reinhart di forte ascendenza düreriana o della sintesi operata da Corot e dal suo sentire la materia dal di dentro. Bellissima la sequenza della chiesa di Trinità dei Monti dipinta da tre artisti (van der Berghe, Corot, Dupré). Giudicate voi la sostanza del reale. E’ "impressionante", sì davvero, quello che Corot già diceva nel 1855: "Il bello dell’arte è la verità bagnata nell’impressione che abbiamo ricevuto di fronte alla materia"

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