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Donatello e il suo tempo

L’arte del bronzetto nel ‘400 e nel ‘500 in mostra a Padova

Dura fino al 15 luglio la mostra dedicata al Donatello padovano e al suo tempo, cioè a quegli altri straordinari artisti (sconosciuti al grande pubblico) che produssero autentici capolavori realizzando sculture in bronzo e fecero di Padova uno dei "centri del Rinascimento" secondo la fortunata formula di André Chastel.

Desiderio da Firenze, "Satiro e satiressa".

Il bellissimo Crocifisso, di rara perfezione anatomica in diretto colloquio con l’osservatore e sofferente nel volto, ed i bassorilievi con angeli musicanti e miracoli di Sant’Antonio, sono riprodotti su tutti i testi di storia dell’arte, ma quando li si guarda da vicino si rimane intrappolati in un gorgo continuo, in una rete di sguardi, ambienti, espressioni: il miracolo della mula o il S. Antonio che scopre il cuore dell’avaro nello scrigno, rappresentano un incredibile palcoscenico (vedi la lezione di anatomia dell’avaro in primo piano) dove capacità tecniche (levigatezza e perfezione delle superfici) ed invenzione raggiungono livelli stratosferici.

Non so se vi sia capitato in anni recenti di salire sui pontili dei restauratori di Arezzo per Piero o di Roma per la Sistina. Stando al Vasari, l’artista toscano fu il "primo che mettesse in buono uso l’invenzione delle storie ne’ bassorilievi"; quando poi parla di quelli di Padova scrive espressamente "talmente con giudicio condotte... con tanta copia di stravaganti figure e prospettive diminuiti". Per intenderci, solo dopo le architetture di Donatello ci potranno essere i "giochi" prospettici della Pala di San Zeno di Andrea Mantegna e l’uso dei putti nelle pale d’altare.

Ecosì vale per gli altri grandi protagonisti di questa florida stagione padovana, primo fra tutti il Bellano, continuatore del maestro. Sempre Vasari ci commenta il quadro in bronzo di "quando Sansone abbracciata la colonna, rovina il tempio dei Filistei: dove si vede con ordine venir giù i pezzi delle rovine, e la morte di tanto popolo ed inoltre la diversità di molte attitudini in coloro che muoiono, chi per la rovina e chi per la paura".

Efficace nella descrizione dell’azione drammatica, sa anche essere attento regista nella resa di brani patetici, come il cagnolino lasciato solo tra la folla che fugge per ogni dove o, nel Giona gettato in mare, la concitata azione dei marinai, ricordo delle gesticolanti figure di Donatello.

Anche il terzo grande protagonista della scena padovana, Andrea Briosco detto il Riccio, ammassa le sue figure, come nel quadro con la Vittoria di Costantino su Massenzio, ma vorticoso all’interno spira un vento di classicità, una volontà di chiarezza che risponde e al gusto di una committenza e alla salda tradizione che trova nel Mantegna degli Eremitani il riferimento d’obbligo. Trentino di nascita, ama incorniciare poeticamente e in forme classiche motivi di carattere religioso, come il bellissimo S. Martino nelle vesti di un proconsole e una decorazione con bucrani, il Mosè come un senatore romano o i motivi pagani nel Cero Pasquale della Basilica del Santo. Ma è nell’arte del bronzetto che il Riccio eccelle: il capolavoro del Vaso Carrand, proveniente dal Bargello, con putti che reggono festoni; satiri che bevono, il caprone, la stupenda lampada a forma di nave...

Sempre a quest’ultimo artista in anni passati furono attribuiti oggetti di decoro domestico che una critica più attenta oggi assegna a sicuri altri protagonisti, come Saverio Calzetta, Vittore Gambello (bellissima la sua Battaglia dei Giganti), Desiderio da Firenze (stupendi i suoi bruciaprofumi dalla forte componente erotica) e poi Vincenzo e Gian Girolamo Grandi, che tra il 1532 e il 1542 lavorarono a Trento per il Clesio e per la Cantoria di Santa Maria Maggiore: sono presenti in mostra il picchiotto facente parte dell’arredo del castello del Buonconsiglio e il campanello dei Musei Civici di Rovereto. Seguono opere di anonimi padovani, a riprova della grande diffusione delle cosiddette "anticaglie".

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