Dell’archetto e di altri demoni
Recensita l'esecuzione dell'orchestra Haydn (al violino Sergej Krylov) della Sinfonia n°2 di Robert Schumann e dell'opera "Dai Calanchi di Sabbiuno" di Fabio Vacchi.
Quando si sbaglia, bisogna avere il coraggio di ammetterlo. Quanto da me scritto per giornale e sito internet (Orchestra Haydn. Direttore Alexandros Myrat, violino Sergej Krylov), è una bufala: la seconda sinfonia di Schumann, in programma nella stagione Haydn lunedì 9 aprile, veniva presentata come la terza. E quindi ho descritto gli spunti da melodie tradizionali tedesche che dovevano comparire nel tempo finale, ma in realtà ciò non si verifica, dal momento che la Renana è la terza sinfonia e non la seconda e, quanto all’intrusione del popolare in Schumann, considerando che i suoi modelli sono Bach, Beethoven e Haydn, il termine "popolare" ha un sapore un po’ troppo casereccio, specialmente per quanto riguarda la natura specifica di questo lavoro.
Altra imprecisione, non del tutto colpevole, è stata quella riguardante l’introduttivo brano di musica classica contemporanea. Lo schema seguito nella maggior parte delle serate Haydn è stato infatti: 1. insolita composizione moderna o postmoderna; 2. solista in interpretazione/pezzo forte del concerto; contorno: pezzo di routine da artista affermato.
Il nove aprile l’hoeurs d’oeuvre doveva essere un Niccolò Castiglioni original, che sicuramente avrebbe colpito per inventiva e sintesi. Invece è stata suonata un’opera di Fabio Vacchi, "Dai calanchi di Sabbiuno",in forma ternaria. Ovvero una composizione divisa in tre parti, nella quale la terza è una ripresa variata della prima. "Dai Calanchi di Sabbiuno" non fa affidamento su un linguaggio musicale di stampo tipicamente moderno, ma, sottilmente, sfrutta un insinuante respiro jazz e accenni tribali, eppure è una marcia funebre: il programma avverte che si tratta di una composizione commemorativa. Nei solchi d’erosione tipici di Sabbiuno, verso la fine della seconda guerra mondiale, furono gettati i corpi di cento partigiani, uccisi dai nazifascisti. Fabio Vacchi, classe ’49, come altri compositori italiani, creò una partitura per un concerto commemorativo in occasione dei cinquant’anni dalla Liberazione, e decise di ricordare questo fatto. Un efferato episodio della nostra storia recente, uno tra i tanti. Fabio Varchi sceglie di non raccontarlo in musica, magari abusando di astratti intellettualismi musicali,tanto cari ai compositori contemporanei, ma lo ricorda, invece, con sentita commozione, attraverso un melodismo saturo di tristezza.
L’entrata in scena di Sergej Krylov è stata salutata da un cortese e prolungato applauso. Il bambino prodigio ha ormai trent’anni, ed è nel pieno della maturità espressiva. Non ci si poteva aspettare, da un artista del suo calibro, niente di meno che un’ esecuzione ineccepibile. Le opere di Paganini furono a lungo snobbate della critica, perché vennero composte ed utilizzate dal virtuoso Niccolò principalmente come veicolo di facile presa sul pubblico per l’edificazione del suo mito personale d’impareggiabile abilità. Paganini accendeva la fantasia dei contemporanei. Tutti i più grandi artisti dell’epoca (1800-1840) si recarono ad ascoltare le sue composizioni dal vivo, ricavandone simile meraviglia e ammirazione. Krylov ha optato per un maggiore lirismo in tutta l’esposizione del concerto, sacrificando però così, in parte, il nervosismo della scrittura di Paganini. Quasi con leggiadro divertimento il violinista ha suonato, senza far avvertire minimamente la difficoltà dei passaggi più arditi. Dove l’archetto scivolava, saltellava e percuoteva senza sosta, mentre spesso la mano sinistra si impegnava in quei pizzicati, tipici di Paganini, che era anche un valente chitarrista. Da vera figura di prodigioso artista, Paganini raggruppa nel secondo concerto tutti i suoi tratti caratteristici: il contrasto fra temi differenti, gran copia di suoni armonici, e di doppie corde. I passaggi sono tutti sopra le righe, assimilabili all’estro dei capricci, anche se la struttura classica del concerto lascia comunque gli spazi canonici all’orchestra: ovvero l’introduzione e una servile funzione di accompagnamento. L’entrata in scena del violino, sempre di forte impatto sonoro, quasi a sgorgare di conseguenza da un fiorire di note, esalta sempre e solo il diabolico strumento. In questa situazione la degna spalla, Marco Mandolini, il notevole primo violino dell’orchestra, non si faceva travolgere, dimostrando tutto il suo talento. Con grazia e modestia Krylov ha concesso altri cinque minuti della propria arte, senza puntare sui trascinanti effetti di rapidità, che aveva tanto efficacemente sfoggiato nel concerto, ma producendosi in un delicato suono, quasi ipnotico. Che volesse esorcizzare le critiche un tempo mosse a Paganini da Spohr? Nel pieno dell’idolatria nei confronti dell’italiano, il critico ebbe il coraggio di scrivere: "I suoi difetti: un suono forte, un gran colpo d’archetto e un fraseggio melodico che manca di gusto".
La sinfonia n. 2 in Do maggiore, Op. 61di Robert Schumann nasce in un periodo di convalescenza dell’autore, che si stava riprendendo dall’esaurimento avuto nell’autunno del 1844. Fu un’intuizione rapida, seguita da un lungo lavoro di orchestrazione, come si avverte dall’impegno nell’utilizzo di tutte le sezioni, pur nella sostanziale unità dei temi proposti. Schumann concepì, quasi sicuramente, la sinfonia come un’evoluzione dal buio alla luce, e il finale come vittoria contro le avversità. La tonalità di do è la costante dei quattro movimenti, che passa da maggiore a minore unicamente nell’ Adagio espressivo, e termina poi in Mi bemolle maggiore. I temi sono ricorrenti e riconoscibili. La critica sottolinea come, solo nell’ultimo movimento, si avverta una piena adesione ad un sereno ottimismo. A mio parere, un serpeggiare di energia positiva si avverte fin dal primo movimento; inoltre l’orchestra Haydn, diretta da Alexandros Myrat, ha suonato con impeto e ritmo, forse perdendo un po’ del patetismo nella cavalcata. Un nome per tutti, nell’esecuzione, complessivamente buona, di questa sinfonia, è quello di Francesco Dainese, flauto.