Serietà e precisione dall’Est
La performance del Quartetto d'archi Panocha.
Contrariamente a quanto capita ai trentenni in crisi dell’"Ultimo bacio", il quartetto Panocha non ha dubbi sulla propria identità e importanza. L’incedere compatti come una coorte romana attraverso ogni evoluzione della partitura e l’accostamento coraggioso di brani diversi dimostrano ampiamente il grado di sicurezza raggiunto. Insieme fin dal 1971, anno in cui il violista Miroslav Sehnoutka si aggiunse alla formazione del ’68, i Panocha sono sempre, e solo, loro: Jirí Panocha, Pavel Zejfart, Miroslav Sehnoutka, Jaroslav Kulhan. La coerenza non è un valore assoluto, ma in molti casi è sinonimo di serietà. Anche quando non hanno degli impegni imminenti questi puntualissimi interpreti si incontrano cinque volte a settimana. Fin dalle prime battute del quartetto in sol maggiore op.76 n.1 di Joseph Haydn, l’intesa dei Panocha è apparsa evidente.
Jirí Panocha, fondatore del gruppo e primo violino, ha sorriso spesso suonando, né sembrava la solita espressione studiata dell’interprete navigato. Tutti i brani della serata fanno parte del repertorio regolare, sono stati appositamente scelti per creare un contrasto vivace e rendere l’esibizione avvincente. I Panocha ritengono che il pubblico preferisca la varietà a programmi monotoni fissi su un solo periodo storico.
Abbiamo avuto l’opportunità di incontrarli brevemente prima del concerto, occasione nella quale hanno lodato l’acustica della sala della Filarmonica. Affermano di ricordare con molta più facilità una particolare sonorità dell’ambiente, che non una città o un concerto. In effetti, delle ottime doti della sala hanno approfittato nell’esecuzione del quartetto "Lettere intime" di Janacek. L’iniziale, particolarissimo timbro prodotto dall’archetto posizionato sul ponticello, ovattato dalla sordina, è risuonato limpido come provenisse da uno studio di registrazione. Le "Lettere" sono una sorta di epilogo della carriera di Janacek, che non scrisse altro che brevi pezzi, appena abbozzati dopo questo quartetto. Si tratta di una composizione scritta in ventidue giorni; l’irruento settantenne Janacek si lasciò trasportare dall’amore per Kamila Stösslova e stese quattro movimenti di febbrile e ascetico rapimento. La viola d’amore, poi sostituita dalla viola, aveva nelle intenzioni dell’autore il compito di legare tutta l’opera, sulle sue note poggia tutto il lirismo dell’ Andante iniziale.
La seconda parte del concerto è stata tutta per il lungo quintetto in mi bemolle maggiore op.44 di Schumann. Come in tutte le composizioni di questo grande romantico, il pianoforte, suonato da Boris Berezovsky, ha dominato. Il russo ha un tocco incisivo e dinamico e, nonostante la strenua concorrenza degli abili Panocha, ha spadroneggiato sull’insieme, conferendo all’esibizione un carattere più terreno.