Le idee per risollevarsi ci sono. Solo sulla carta?
Agricoltura trentina: nel ‘99 sono stati impostati alcuni importanti obiettivi. A che punto siamo?
Se l’autunno trentino aveva fatto scricchiolare il territorio ai quattro angoli della provincia, mettendo a nudo una precarietà ancestrale, accentuata da pressioni inconsulte su una terra delicata, provocate da uno sviluppo incontrollato che ha interessato valli e città, i mesi invernali si sono dati carico di mettere in luce la fragilità del nostro sistema agricolo, su cui forse ci è sempre troppo poco soffermati.
Gli allevatori hanno dichiarato prima la loro sicurezza, poi la preoccupazione, infine hanno lasciato trapelare il loro panico rispetto alle conseguenze delle nuove paure per mucca pazza e dintorni dei consumatori trentini.
Le cooperative che trattano i piccoli frutti, uno dei settori vanto dell’attività agricola trentina, hanno negato gli addebiti, ma anche posto subito l’accento sui disastrosi effetti che avrebbe una conferma delle accuse (vendere quantità enormi di prodotti coltivati altrove come frutti raccolti nelle campagne trentine).
Ci sono state lamentazioni, c’è stata la considerazione (ovvia) che siamo nel bel mezzo di una tempesta che investe tutta l’Europa e sembra sbarcata in America; ma quello che sconcerta, nella dichiarazione dei responsabili pubblici e degli operatori privati, è la rappresentazione di uno stato d’ineluttabilità, dell’assenza di ogni struttura pubblica adeguata a controllare, prevenire, almeno a rendere meno probabile il gioco dei furbi a danno di produttori e consumatori.
Ancora una volta ci sono sfasature enormi tra quanto si afferma nei documenti ufficiali e quanto avviene nella gestione delle strutture burocratiche o associative. Nell’ultimo
"Rapporto sulla stato dell’Ambiente" (1999) saggiamente è riportato: "Se l’agricoltura crollasse, perché non messa in grado di sopravvivere nei mercati globali ad alta competizione, non morirebbero solo migliaia d’imprese, non salterebbero solo migliaia di posti di lavoro e non avremmo solo delle tavole più povere di prodotti di qualità. L’agricoltura è il perno di un prodotto multifunzionale, dal quale dipendono la tutela dell’ambiente, la salvaguardia del territorio e molte attività indotte, a cominciare da quella turistica. La presenza di attività agricole in un’area geografica fa risparmiare alla collettività in termini di sistema idrogeologico, di tutela del paesaggio, di presidio del territorio."
Sante parole, che aiutano a capire l’intrecciarsi delle lezioni che abbiamo avuto a novembre con le frane diffuse sul territorio e l’attuale crisi del sistema produttivo agricolo, incapace di garantire quegli obiettivi. Un sistema che non riesce a farcela più, perché preso dal miraggio di contendere in quantità anziché puntare tutto sulla qualità che genera atmosfera e può motivare prezzi adeguati ai maggiori costi umani ed economica del lavoro sulle Alpi.
Sono stati posti cinque obiettivi a cardine dell’intero settore agricolo per il quinquennio 1999-2004, siamo dunque a metà del guado ed è lecito chiedere conto di quale è nell’insieme lo stato dell’arte.
Ricordarli, alcuni di questi obiettivi, può essere esercizio utile nel confronto di questi giorni.
Il primo obiettivo prevede il premio per la coltivazione delle aree prative per evitare l’abbandono dello sfalcio dei prati. E’ l’alternativa possibile ad ogni tentazione di mangimi devastanti per i nostri bovini.
Il secondo obiettivo garantisce gli interventi a sostegno dell’agricoltura biologica per gli agricoltori che si impegnino a coltivare i propri fondi secondo i dettami dell’agricoltura biologica, in conformità ai regolamenti comunitari.
Il quarto e il quinto degli obiettivi del piano agricolo della Provincia sono espressamente diretti al sostegno delle qualità bovine e dei metodi d’allevamento propri della tradizione e della vocazione trentina: la conservazione delle superfici a pascolo mediante l’alpeggio di bestiame e il sostegno agli allevamenti della razza Rendena, addirittura in pericolo d’estinzione.
I pericoli devastanti della globalizzazione su un territorio economico, sociale, naturale delicatissimo come quello alpino sono evidenti, e non ci si salverà sicuramente chiudendosi in una sorta di "ridotto trentino".
Tuttavia, questo non può nemmeno fungere da alibi per non fare quello che qui è doveroso e possibile fare. Magari attuando con diligenza e costanza quanto è scritto nei documenti programmatori della pubblica amministrazione, dando dei risultati di questa agire - confortanti o deludenti che siano - notizia a tutti.