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Dorazio Jazz

I colori di Dorazio e i suoni dei grandi maestri del jazz degli ultimi 40 anni si rincorrono nelle sale del Museion di Bolzano fino all’8 aprile.

Vi ricordate la "circulata melodia" di Dante o le "correspondances" nell’opera di Baudelaire, ovvero le analogie tra il colore e la parola poetica, o il "...boogie-woogie" nei quadri di Mondrian? Arti tese a cogliere il "suono interiore" delle forme. Non scopriva nulla Walter Pater nel 1870 quando scriveva che "tutte le arti tendono alla musica".

Piero Dorazio, "I due mari" (1988).

Nathalie Vernizzi, alla Galleria d’Arte Moderna di Bolzano, propone un’indagine molto particolareggiata sui diversi periodi della pittura di Piero Dorazio e i rapporti con la grande famiglia del Jazz, in particolare i maestri della generazione del pittore. Tra i tanti distinguo e le perplessità iniziali riguardo alle specificità di ogni forma di linguaggio, lentamente ma irrimediabilmente il flusso di colori e suoni ha il sopravvento. Già ad inizio secolo con le avanguardie (Cubismo, Futurismo e Suprematismo, con il grande "Kasimiro" Malevic in testa, e più giù con gli Olandesi, Mondrian e Vantongerloo, fino ai collages di Magnelli e all’affermarsi dell’Astrattismo in Italia negli anni Cinquanta, epoca di massima diffusione del bebop negli Stati Uniti) le strade sempre più macroscopicamente divergono: da una parte il luogo delle cose e dall’altra le parole, i suoni, i colori; si riscrivono le regole di una nuova sintassi basata sugli stati d’animo e sull’improvvisazione.

Si afferma la serialità che ha a che fare non con la variazione della verità a partire dal soggetto, ma - come dice Deleuze - con un cambiamento di prospettiva, con la limpida presenza della verità della variazione. L’elemento della serialità incarna quello che è un principio del Manifesto Differenzialista del Lefebvre, il "recupero del ludico" nei termini di lievità esistenziale. Punto, linea, forma, colore.

Le "correspondances" legano allora le diagonali e i colori di Dorazio ai suoni del sax poderoso di Parker, amplificandone i confini, ("La lontananza aperte alla misura" del 1988 è il titolo del grande quadro, come le piramidi sonore di Monk, nel suo tipico fraseggio spezzato, ai tagli contrastanti ed ai colori stridenti di "Fa giorno Vassily" o di "Kasimiro medio", tanto per scherzare.

Lo stesso vale per il vigore e l’energia di Mingus e gli spazi definiti e precisi sulla tela: come pennarelli nella loro scatola, nella continuità ritmica della loro disposizione stanno i colori di "Colonna"... E poi in rapida successione i fittissimi reticoli del "Lento die" e del bellissimo "Antitetic, the Poet’s Room II", del ’59 del suono cool, avvolgente e sensuale della tromba di Davis; i segmenti sonori di Coltrane e le strisce in diagonale del nostro; l’emozione pura del piano di Evans e la grisaille, il pointillisme del pittore fino ai blu de "I due mari" in riferimento al blues e alla carica di dolore che si porta dietro.

Ma a un certo punto la purezza geometrica, la "dorata monotonia"... aiuto, mi gira la testa!...

P. S. Presso il Museo sono previsti altri due concerti: lunedì 19 febbraio, ore 21: "Tribute to Bill Evans", con E. Pierannunzi e M. Johnson; venerdì 9 marzo, ore 21: "Bird of the Cool", con Fabrizio Bosso e The Jimmy Cobb Trio.

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