L’emendamento Miranda
Perché un imputato ha il diritto di tacere e di mentire.
Nei film polizieschi di produzione americana non manca mai "l’emendamento Miranda". Quando i poliziotti arrestano il sospettato hanno il dovere di avvertirlo ad alta voce: "Hai il diritto di restare in silenzio. Qualsiasi cosa dirai potrà essere usata contro di te in tribunale".
Il nome nasce da Ernesto Miranda. Costui era stato riconosciuto colpevole di stupro commesso a Phoenix nel 1963 e condannato a 20 anni di carcere. Gli avvocati difensori fecero ricorso davanti alla Corte Suprema e sostennero che la condanna era viziata perché l’imputato era stato interrogato senza aver potuto consultare un avvocato e senza conoscere i suoi diritti. Il 5° emendamento della Costituzione americana garantisce il diritto di non rispondere per non auto-accusarsi.
Il processo fu annullato e la Corte Suprema nel 1966 sancì l’obbligo di leggere agli arrestati i loro diritti, cioè il 5° emendamento detto appunto "Miranda".
E’ accaduto però che nel 1999 una Corte di appello federale con una oscura motivazione ha cancellato l’obbligo della lettura dei diritti al momento dell’arresto. Ora la questione è nuovamente avanti la Corte Suprema. Se l’obbligo dovesse essere rimosso, non sentiremo più la famosa frase (che spesso viene urlata, almeno nei film, mentre il poliziotto prende a pugni e calci l’arrestato, specie se è un nero) e tutti i polizieschi americani diventeranno reperti archeologici.
L'emendamento Miranda è una cosa seria o no? Nella sostanza indubbiamente sì, nella forma invece no. Il principio è antico. Già i Romani sapevano che "nemo tenetur se detegere": nessuno è tenuto ad accusarsi. Però il diritto al silenzio non compare nella nostra Costituzione ed è regolato invece dall’art. 64 cpp: "Prima che abbia inizio l’interrogatorio la persona deve essere avvertita che ha facoltà di non rispondere". In sostanza l’avvertimento viene spostato dal momento dell’arresto a quello dell’interrogatorio. Nel nostro diritto l’imputato non solo ha la facoltà di tacere, ma anche quella di mentire (fermi restando i reati di calunnia e di auto-calunnia).
La dottrina è concorde nel ritenere che la dichiarazione di essere disponibile a sottoporsi all’interrogatorio non implica per la persona sottoposta alle indagini e per l’imputato l’obbligo di dire la verità (che invece grava sul testimone). L’interrogato può rispondere in modo parziale o evasivo, confessare alcune cose e altre no, e può anche contrapporre ai fatti contestatigli altri fatti non veri, senza però superare la barriera della calunnia. Solo in una struttura penale sostanzialistica (inquisitoria pura) poteva essere negata all’imputato la facoltà di tacere. In un’ottica accusatoria, dove la prova è interamente a carico del Pubblico Ministero, e il Giudice terzo e imparziale è tenuto a cercare la verità processuale e non quella reale, la facoltà di tacere è legittima.
L’abolizione quindi dell’emendamento Miranda, che è sostanzialmente un fatto di folklore, non cambierà nulla, purché resti fermo il 5° emendamento della Costituzione americana. Alla condizione inoltre che l’eventuale spontanea dichiarazione dell’imputato non abbia di per sé valore di prova, ma, come dispone l’art. 1892 del nostro cpp, sia valutata "unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità". In sostanza la facoltà dell’imputato di tacere o di parlare deve essere una cosa seria e non folkloristica.
Non piangeremo quindi se negli USA verrà abolito l’emendamento Miranda. Saremmo invece preoccupati, e molto seriamente, se il diritto dell’imputato ad avere una sentenza giusta venisse deciso con il lancio della monetina: testa o croce, come purtroppo è recentemente avvenuto in una giuria del Kentucky. Il processo, per fortuna, è stato annullato.