Questo o quello?
Amato o Rutelli? I programmi, per decidere.
Di Francesco Rutelli, lo confesso, non so quasi nulla. So che era stato amico di Pannella, che ha avuto una militanza verde, e che da qualche anno è sindaco di Roma. Quest’ultima circostanza non è poco, anche perché la carica la guadagnò sconfiggendo un antagonista come Fini, che per l’Urbe era un candidato forte. Non ho dati certi e di esperienza personale per valutare il suo comportamento come sindaco di una metropoli così difficile.
E’ certamente persona garbata ed anche a prima vista simpatica. Ma dovendolo soppesare come possibile primo ministro della Repubblica, mi trovo piuttosto impacciato, per così dire, per insufficienza di prove. Forse ho il torto di non avere seguito la sua biografia con adeguata attenzione, ma forse, anche se l’avessi fatto, non avrei scoperto molto di più, per la semplice ragione che Rutelli è, relativamente, un uomo nuovo. Lo è sicuramente come candidato leader nazionale. E questo è, assieme alla gradevolezza della sua immagine, il suo punto di forza.
Tutto l’opposto è Giuliano Amato. Di lui ho già scritto su queste pagine. Non solo io, ma tutti conosciamo del personaggio ombre e luci, anche perché egli stesso, oltre che esibire un’esperienza di governo in vari ruoli ormai più che decennale, è anche prodigo di esternazioni e persino di confessioni. L’ombra che più incrina la sua figura è la passata contiguità con Bettino Craxi, che ha provocato la secessione, sia pure con l’onore delle armi, di Antonio Di Pietro, che peraltro non sembra recuperabile nemmeno dalla verginità di Rutelli, ciò che giustifica il sospetto che la ragione vera della sua rottura vada riceracta piuttosto nella meschinella storia dei Democratici dell’Asinello, Rutelli compreso. Talché quel passato di Amato può essere archiviato sull’assunto che l’essere stati socialisti ai tempi di Craxi non è, di per sé, motivo di indelebile onta. Le sue capacità di governo sono d’altronde incontestabili.
Non credo che sia fonte di scandalo e nemmeno di disagio la competizione dentro una va-sta coalizione fra due o più candidati ad assumere il ruolo di primo ministro. Ciò avviene in tutte le democrazie mature: negli Stati Uniti attraverso procedure collaudate di elezioni primarie, in Europa nei congressi dei grandi partiti. Che avvenga anche da noi nel centro sinistra è un elemento positivo che lo distingue dal centro destra ove invece il leader-candidato primo ministro è lo stesso patron del partito-azienda. Il punto è che la scelta fra due o più candidati dev’essere fatta da una base vasta, nelle primarie, o da un congresso di militanti, nei partiti europei. E soprattutto con riguardo ai programmi che i candidati si impegnano ad attuare.
Tutto ciò, fino ad oggi, è mancato. Di primarie non è il caso di parlarne. Ma non può essere l’oligarchia dei segretari dei partiti che formano la coalizione a decidere. Bisognerà promuovere almeno un’assemblea degli eletti, la più larga possibile, rappresentativa degli umori presenti nel vasto popolo di centro sinistra.
E soprattutto bisognerà che i candidati presentino dei programmi. Non c’è solo da fronteggiare la cavalcata delle walchirie berlusconiane. Su questo impegno non c’è differenza fra i due candidati. Ma per assolverlo con successo vogliamo capire come intendono muoversi, cosa pensano di fare. I governi di centro sinistra, tenendo conto delle condizioni in cui hanno operato, presentano un bilancio positivo. Ma ai problemi irrisolti che ci trasciniamo da anni (è inutile elencarli) se ne aggiungono altri tremendi. L’euro debole acuisce la contraddizione fra Europa e Stati Uniti e denuncia l’impotenza dei governi nei confronti delle multinazionali della speculazione finanziaria. L’inarrestabile aumento del prezzo del petrolio fa intravedere una minaccia devastante per la nostra società opulenta che non viene dall’espansione dell’Islam, ma semmai da un’aggressiva alleanza fra i Paesi arabi e le società petrolifere. Entrambi i fenomeni imprimono un’accelerazione al processo di unità politica dell’Europa, perché è solo una risposta dell’Europa unita che può far fronte a queste difficoltà.
Che senso ha disputare sul bonus fiscale o se votare ad aprile o a giugno quando incombono tali minacce?