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Nemici per la pelle

La tragedia della Cecenia nella interpretazione di Demetrio Volcic. Da L’altrapagina, mensile di Città di Castello.

Rossi Achille

"Come tutte le potenze coloniali la Russia si espandeva via terra, conquistando spezzoni di paesi, di razze, di gente che non le appartenevano. In sostanza, la Cecenia è un lascito del periodo imperiale".

Esordisce così Demetrio Volcic, già direttore del Tg1 e ora senatore, esperto di problemi russi, al quale chiediamo di illustrarci gli antefatti della guerra in Cecenia. Parla con pacatezza, pesando le parole, con lo stile dell’abile cronista televisivo abituato a sintetizzare in poche frasi il nocciolo di un problema.

"La tensione tra russi e ceceni non s’è mai placata. E’ da 150 anni che i ceceni conducono una lotta contro i russi che potremmo definire ‘partigiana’. Nel 1944 l’intera nazione è stata deportata verso l’Asia centrale; durante il tragitto sono morti vecchi e bambini a decine di migliaia e i ceceni non l’hanno dimenticato. Perciò, appena hanno avuto la possibilità di liberarsi dei russi, l’hanno fatto. Si sono sganciati dalla federazione russa in ritardo rispetto ad altre nazionalità, comunque dopo una prima guerra vittoriosa. I russi si sono ritirati e nel 1996 hanno firmato un documento ufficiale secondo cui, entro tre anni, avrebbero promosso un referendum per accertare il desiderio del popolo di rimanere con la Russia o di creare uno stato indipen-dente".

La ribellione cecena è, dunque, una conseguenza dello sfaldamento dell’impero sovietico?

"Quando gli imperi si sgretolano anche le piccole nazioni sottomesse possono aspirare a qualche forma di autodeterminazione, che apparirebbe impossibile nei periodi di stabilità e di sicurezza del potere imperiale. Molti stati mo-derni si sono creati quando s’è sfasciato l’impero ottomano: i paesi balcanici hanno acquisito l’indipendenza in quel momento. Anche il crollo dell’impero austro-ungarico ha dato origine a nuove nazioni. In genere, ogni spaccatura dell’impero comporta la secessione di un certo numero di paesi. In questi casi il concetto di autodeterminazione, un principio su cui tutti giurano, entra in contrasto con quello della salvaguardia delle frontiere. In realtà, affinché l’autodeterminazione possa funzionare, tutti i vicini dovrebbero essere d’accordo. Ora l’esperienza ci dice che esistono sempre delle tensioni ed è difficile che tutti accettino che una parte di un paese si stacchi dal resto".

Quale tipo di politica aveva praticato la vecchia Unione Sovietica nei confronti della Cecenia?

"Più o meno la stessa che aveva esercitato con le regioni e le nazionalità di lingua diversa: una forte unità ideologica e, al tempo stesso, una certa tolleranza nei confronti della cultura, della lin-gua, delle abitudini locali. Insieme alla promozione dello sviluppo economico".

I Russi hanno giustificato il loro massiccio intervento in Cecenia con la difesa dell’integrità territoriale. Quali interessi geo-politici ed economici sono entrati in gioco per averli spinti a una repressione così dura?

"A un certo punto hanno detto: basta con le secessioni, chi sta in Russia sta in Russia. Non permettiamo che le nostre 89 entità amministrative diventino altrettante schegge impazzite, altrimenti c’è il rischio che tutta la Russia esploda. Effettivamente in una realtà cosi composita ognuno potrebbe trovare pretesti per chiedere l’autodeterminazione. Su questo no alla secessione è scattata la reazione ed è venuta fuori la parola d’ordine: d’ora in poi non si può più fare. In realtà, i ceceni sono estranei alla cultura russa quanto i georgiani, gli armeni, gli azerbaigiani, gli usbechi".

Sarebbe stato un precedente rischioso per l’integrità della Federazione russa?

"Naturalmente, perché avrebbe dimostrato che anche in tempi tranquilli e in assenza di crisi del regime una nazionalità può effettuare la secessione e andarsene per conto proprio, come del resto prevede la costituzione sovietica".

Come sarebbe a dire? C’è nella legislazione russa un escamotage giuridico che consente operazioni di tal genere?

"Il desiderio di Stalin, ripreso dai suoi successori, era quello di dare all’Unione Sovietica la costituzione più bella e più moderna del mondo e dunque hanno firmato una carta che prevedeva anche la secessione, con l’idea che comunque non sarebbe mai accaduto perché la realtà era dominata da ben altre forze".

Alcuni osservatori politici parlano del conflitto in Cecenia come di una guerra per difendere l’identità russa minacciata, che fa leva quindi sulla vecchia sindrome dell’accerchiamento. Lei è d’accordo con questa diagnosi?

"In Russia la sindrome dell’accerchiamento c’è sempre stata, come ci sono stati i filo-occidentali e i filo-russi. I primi auspicavano che il pensiero e l’economia occidentali penetrassero in Russia; gli altri invece sostenevano che i guai per la Russia erano sempre venuti dall’Occidente e che perciò bisognava sviluppare una propria storia, una propria civiltà e infischiarsene del mondo occidentale".

Parliamo delle operazioni militari in Cecenia, dove si è consumata una repressione senza testimoni diretti. Pensa che questo sia il prezzo che l’Occidente ha dovuto pagare per il disimpegno della Russia nei confronti della Serbia sulla questione del Kosovo?

"Non vedo il legame tra le due situazioni. Nel momento in cui Putin gira il mondo, fa visita al Papa, incontra i dirigenti italiani, tedeschi, europei, non può continuare la guerra. Questa è la ragione che ha determinato la fine delle ostilità in Cecenia. Per quanto riguarda l’atteggiamento tenuto nei confronti della Serbia durante il conflitto del Kosovo, credo che il motivo sia un altro: la Russia voleva mostrare di continuare a contare qualcosa sulla scena mondiale".

Come mai i russi hanno chiuso ermeticamente alla stampa e ai mezzi di informazione durante la guerra in Cecenia?

"Proprio perché non ci fossero testimoni. Le guerre moderne sono molto influenzate dai media. Nel momento in cui uno vede delle scene cruente deve prendere posizione pro o contro, non può rimanere neutrale. Pertanto, per chi si trova in questo momento dalla parte del torto come adesso i russi, meno scene cruente si vedono e meglio è".

Come ha vissuto il popolo russo questa avventura militare in Cecenia?

"Era entusiasta della guerra, l’ha considerata un segnale di riscossa nazionale. Dopo aver visto la Russia battuta e umiliata da tutte le parti, ha colto in questa guerra il primo accenno di una inversione di tendenza. Anche se la vittoria non è stata completa, perché la guerra di tipo partigiano continua".

Infatti non sembra che i russi siano riusciti a smantellare la guerriglia...

"L’importante è dichiararlo. In realtà, sulle grandi pianure e sulle montagne accessibili la guerra è già vinta, ma esiste sempre la possibilità di una lotta partigiana che potrebbe durare secoli. Voglio riferire un episodio emblematico: questa estate, quando una colonna di combattenti ceceni si stava trasferendo attraverso la pianura da una montagna a un’altra più inaccessibile per trascorrervi l’inverno, è stata costantemente seguita da elicotteri sovietici, dai quali però non è caduta una sola bomba, perché in quel momento Putin era a colloquio con Blair e un bombardamento sui guerriglieri ceceni avrebbe avuto ripercussioni negative sulla stampa. In politica succede anche questo".

Quali prospettive si aprono, a suo parere, per risolvere la crisi cecena?

"La guerra si risolve con la pace, dunque bisogna escogitare qualche marchingegno per arrivarci. Dal canto loro i russi cercheranno di mettere in piedi qualche governo fantoccio ed essendo una grande potenza non accetteranno il controllo delle forze in-ternazionali. Allo studio ci sono diversi progetti, ma per il momento non credo ci siano contatti concreti tra le parti tali da permettere di aprire una conferenza di pace".

L’Europa avrebbe un ruolo da svolgere in questo frangente?

"Semplicemente quello di dire: finché non rispettate i diritti umani farete pochi affari con noi. Cos’altro potrebbe fare? Inviare un esercito europeo che non esiste?"

Quanto incide la questione del petrolio nel conflitto russo-ceceno?

"Il problema del petrolio è molto importante in tutta l’Asia centrale sovietica. La Russia ha interesse che l’area sia pacificata, che il petrolio possa scorrere e l’oleodotto non sia bucato una notte sì e una no. Ma questo è solo un aspetto della questione. Pur essendo convinto che nella storia mondiale gli interessi economici giochino un ruolo fondamentale, penso che in questa guerra pesi di più l’inimicizia nazionale fra i due popoli e il desiderio dei ceceni di scrollarsi di dosso il giogo dei russi, sull’esempio di altri paesi caucasici".

In questo contrasto giocano anche fattori di carattere razziale, religioso, culturale?

"Certo che giocano: i russi sono biondi, con gli occhi azzurri, i ceceni invece hanno la pelle scura; i russi sono cristiani, i ceceni musulmani. Appartengono a due culture diverse. E si tratta di uno scontro di culture, più che di fedi religiose. Anche se ultimamente la presenza di elementi musulmani estremisti si è fatta maggiormente sentire".