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QT n. 4, 19 febbraio 2000 Fondo

Cialtroneria propagandistica

Il dibattito, poco serio, sui problemi della giustizia.

Il nostro sistema penale è piuttosto schizofrenico. Presenta cioè, per così dire, una doppia personalità. Un codice a prima vista severo, addirittura feroce. Le pene che vi sono annunciate sono terribili: dall’ergastolo alla reclusione temporanea che però, nella sua durata massima possibile per i singoli reati, è sempre molto elevata. Ho letto in questi giorni di eccitazione nazionale sul problema della sicurezza che si progetta di punire gli scippi ed i furti in casa con la reclusione fino a 6 anni: non c’è bisogno di cambiare nulla, già oggi questa pena massima è prevista per gli scippi e i furti in casa. Credetemi, il codice penale è severissimo.

Ma il sistema ha anche un’altra faccia molto più mite. Una volta c’era solo la condizionale, cioè la possibilità di sospendere l’esecuzione della pena inflitta con una prima condanna a non più di un anno di reclusione. Poi si è estesa la facoltà di concedere questo beneficio anche in caso di una seconda condanna, quando la pena complessiva arriva fino a due anni. Per infliggere tali sanzioni, ben lontane dai massimi possibili minacciati dal codice, il giudice doveva avvalersi del potere di applicare i minimi della pena e concedere le attenuanti valutandole prevalenti rispetto alle aggravanti: come si vede, già allora la ferocia iniziale del codice risultava così imbellettata da espedienti applicativi che ne addolcivano di molto la originaria asprezza.

Ma non è finita. A partire dalla metà degli anni ’70 sono state introdotte le misure alternative alla detenzione (la famosa e famigerata legge Gozzini), e con il nuovo processo penale del 1989 sono stati istituiti i così detti riti premiali, il patteggiamento e il giudizio abbreviato, che a loro volta mitigano la durezza delle pene contemplate nel codice. Con il risultato che alla condizionale ed alle attenuanti, che avevano un senso come mezzi per contemperare l’eccessiva severità del sistema, si sono aggiunte altre misure mitigatrici, confezionando un complesso di scappatoie che, assieme alla estinzione dei reati per decorso di tempo (la prescrizione), fanno del nostro ordinamento penale un vero colabrodo. Naturalmente a giovarsi di tutto ciò sono gli imputati che possono pagare un buon avvocato, mentre i balordi, spesso affidati alle difese d’ufficio, non riescono ad utilizzare appieno tutte le opportunità che il meccanismo offre. A questa iniquità ha tentato di rimediare, almeno in parte, l’altrettanto famosa e pure essa assai famigerata legge Simeone.

Il problema dunque esiste, ma è questo nella sua intera complessità e nel suo collegamento con la nota inefficienza dell’ordinamento giudiziario, insopportabilmente lento a causa della sua inadeguata dimensione quantitativa. L’organico dei magistrati è oggi grosso modo quello stesso del 1950, con una popolazione, ora, più numerosa, più ricca e quindi più conflittuale e trasgressiva.

Che senso ha allora questa infuocata emozione nazionale, dei ministri, delle opposizioni, dei mass media, suscitata dai dolorosi episodi di crimini commessi da condannati mentre si trovano in permesso o in semi-libertà? Schizofrenico è il sistema penale, ma altrettano lo sono i politici e i mezzi che esprimono la pubblica opinione. Una settimana si plaude al "giusto processo" super garantito per gli imputati eccellenti o di mafia, la settimana dopo si invoca "tolleranza zero" per i balordi. Anziché prospettarsi una riforma organica, equilibrata e civile di tutto il sistema, assistiamo a repentini sussulti emotivi provocati da isolati episodi, che portano a ritocchi improvvisati che producono l’effetto di aggrovigliare ancor più la matassa.

Oggi è sotto tiro la legislazione sulle misure alternative, che attua il principio costituzionale che la pena ha una funzione rieducativa. Pare stia riaffiorando, dopo la prima furiosa ed esagitata ostilità verso tale normativa, un condiviso apprezzamento dell’alto valore civile di esso. E infatti la pena detentiva è sì una misura afflittiva, ma non una vendetta. Essa priva il reo della libertà per proteggere la società dalla sua nociva presenza, ma anche per costringerlo a meditare su se stesso, nella speranza che impari, se non sempre a distinguere il bene dal male, che se delinque può essere punito. Tale risultato rieducativo presuppone una risposta clemente al ravvedimento del colpevole. Decidere in concreto tale risposta concedendo la semi-libertà, i permessi o la riduzione della durata della pena, è compito molto difficile e delicato. Come lo è ogni previsione sul futuro comportamento di una persona. L’esperienza insegna che autori di gravi delitti si sono pienamente emendati e viceversa colpevoli di più lievi reati sono risultati irrecuperabili. Siamo dunque di fronte ad una funzione, quella dei Tribunali di sorveglianza, che inevitabilmente comporta il rischio di errori di valutazione. Le statistiche rese note in questi giorni attestano che la percentuale di errore è stata minima, inferiore all’1%.

Vediamo dunque di essere seri. Smettiamola con questi spettacoli di cialtroneria propagandistica. Sovente le attività umane comportano rischi di danno: il lavoro è funestato da migliaia di infortuni mortali; la circolazione stradale ci porta ogni lunedì il funereo bollettino di giovani vite perdute. Aboliamo per questo il lavoro o il traffico? Aumentiamo la prudenza perché il rischio può essere ridotto, ma purtroppo non ci è dato di eliminarlo.

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