Il “Manifesto” dell’altra sinistra
Una nuova rivista contro la globalizzazione liberista.
Un gruppo composito dell’altra sinistra (Rifondazione, sinistra sindacale, cani sciolti) ha organizzato a Trento, il 3 dicembre presso il Centro Santa Chiara, la presentazione della nuova "Rivista del manifesto" che esce come supplemento del quotidiano Il manifesto. Una grafica che ricalca quella del vecchio manifesto-rivista della fine degli anni ‘60, prima del passaggio a quotidiano. E la derivazione ne è più che evidente. Direttore responsabile Lucio Magri, ed un comitato di redazione che raccoglie molti manifestanti doc (Castellina, Parlato, Pintor, Rossanda, Serafini), più la crème del pensiero politico della sinistra non governativa, da Bertinotti ad Ingrao, ma anche Cremaschi e Pugliese, e nel primo numero uscito (novembre 1999) compaiono articoli di Arrighi, Ferrajoli, Cini, ed un profetico articolo sulle occasioni perse dal nuovo Partito Popolare di Luigi Granelli, nel frattempo scomparso: una specie di testamento politico significativamente affidato a queste pagine. Nel lungo editoriale di presentazione, la rivista si propone per "offrire una sede di confronto permanente tra posizioni diverse, ma soprattutto cercando di produrre analisi e proposte che andassero oltre l’immediatezza e si misurassero con i grandi temi delle trasformazioni culturali e sociali con cui la sinistra deve ormai fare i conti". Dichiara di "rivolgersi ad uno strato di lettori coltivato e politicamente attivo, ma non specializzato e sofisticato … [volendo] rimotivare alla politica, e alla politica anche come studio, riflessione, letture". Una rivista di approfondimento quindi, ma non asetticamente teorica. Una rivista che è un invito per la sinistra tutta, di governo e di opposizione (ma con un evidente feeling per quest’ultima) a pensare bene a quello che fa. Ad inserire la propria prassi entro un quadro di riflessione strategica che da tempo non c’è più, scompaginata dalla mondializzazione neoliberista, ma che - si dice - bisognerà ricostruire, andando ad una radicale autocritica del passato, di quella che è stata l’esperienza storica del movimento operaio ad occidente e del socialismo reale ad oriente ( "al punto in cui sono le cose l’autocritica è condizione per evitare l’abiura e rendere efficace la critica"). Ma per poi misurarsi senza remore con un cupo presente, riprendendo a leggerne - invece di limitarsi a galleggiarvi sopra - le tendenze ed i processi economico-sociali, che stanno scompaginando il vecchio paradigma teorico, basato sostanzialmente sul modello: welfare + politiche industriali.
Il dilemma governo/opposizione attraversa tutta la riflessione di questo numero, che se prende atto del rischio di disastro che incombe su questa fase di governi di sinistra subalterni ad un’idea altrui di globalizzazione neoliberista, si dimostra però preoccupato anche di troppo facili scorciatoie d’opposizione: "Anche pensare che si possa contrastare un meccanismo tanto potente e tanto pervasivo solo con lotte di resistenza, pur necessarie, sostenute dai settori sociali più colpiti, o solo con una diffusione dal basso di pratiche sociali molecolari alternative, senza investire il livello del governo e senza coinvolgere una larga pluralità di soggetti con progetti positivi e complessivi adeguati, è un altro modo di arrendersi al sistema ed al pensiero unico". Da cui la necessità, prima di tutto, di una rigorosa, scientifica, analisi a tutto campo, della quale il sommario del primo numero già dà un’idea. Si parla dello scenario europeo con l’impasse evidente dei recenti governi di sinistra, stretti fra una spinta sociale che al governo li ha portati e la difficoltà a muoversi in coerenza con queste aspettative nell’impianto di una unità europea ad ispirazione strettamente finanziaria votata al contenimento della spesa sociale (Chiarante, Scheer, Brie, Parlato). Di sindacato, con l’ottimo articolo di Cremaschi, presente anche all’incontro di Trento a nome della redazione. Di pensioni e fondi integrativi (Pizzuti). Naturalmente di guerra dei Balcani e nuovo ordine mondiale (Rossanda, Pintor, Arrighi, Bellofiore). Della agenda politica che va dai referendum (Spagnoli), alla sicurezza del cittadino (Ferrajoli), al congresso dei popolari (Granelli), al terzo settore no-profit (Burgio), alla questione energetica (Mistral, Serafini). Chiudono il numero un articolo sui saperi scientifici (Cini) ed una tavola rotonda fra i protagonisti della rottura del vecchio PCI in Pds e Rifondazione (Bertinotti, Ingrao, Tortorella, Garavini, Boccia) che mi è sembrata la cosa meno riuscita del numero, nulla aggiungendo a quanto risaputo. Il resto è indubbiamente utile ed interessante.
L'impegno ad una ricerca aperta, tesa ad intrecciare diversi punti di vista, competenze e discipline, mi sembra sufficientemente onorato. Il percorso di un nuovo tentativo di lettura da sinistra della globalizzazione da qui potrebbe effettivamente prendere le mosse, e sarebbe davvero interessante se si potesse affermare un simile spazio di studio-analisi e insieme di riflessione politica. Il primo numero ha venduto 30.000 copie, più di quanto diffonde il quotidiano a cui la rivista è allegata (dal primo martedì al primo venerdì di ogni mese), dimostrando di rispondere ad una richiesta reale di riflessione politica a sinistra. Anche la serata di Trento è stata piuttosto affollata: facce note, già viste tante volte negli anni di movimento. La prima area a farsi viva sembra insomma quella della sinistra "andata a casa" di fronte agli esiti della stagione di governo, o restata in campo ma in condizioni di isolamento. Il rischio, in questi casi, è semmai quello di restare prigionieri di impostazioni "retrò", che sono quelle che già hanno portato alla messa fuori gioco. Un rischio contro il quale indicava utili antidoti l’intervento di Cremaschi, che invitava ad essere radicali ma non integralisti ed a rispondere ad una globalizzazione alla Seattle con una "nostra" globalizzazione. Con una globalizzazione dei diritti dei lavoratori, in grado di rispondere alla rampante progressiva separazione dal lavoro dei diritti, che due secoli di movimento operaio occidentale avevano conquistato. "Quando Marx scriveva nel ‘Manifesto del partito comunista’, del 1848, ‘lavoratori di tutto il mondo unitevi’ - ha ricordato Cremaschi - gli operai erano 15 milioni, oggi, in tutto il mondo globalizzato, sono 800 milioni e l’invito di Marx è più cruciale che mai". Bene hanno quindi fatto i gruppi sindacali americani che hanno partecipato alla contestazione del vertice di Seattle, a porre il problema di bloccare il lavoro dei bambini in tutto il mondo. Ed il fatto di veder ripartire simili richieste in lotte che sbocciano proprio nel cuore più avanzato del sistema, lascia bene sperare. Di fatto, secondo Cremaschi, il fondo della crisi della sinistra lo avremmo già toccato, e veniva da lontano: ha trovato piena esplicazione negli ultimi anni ma è partito dal progetto craxiano di rottura sistematica di tutti gli elementi comuni della cultura consolidata della sinistra. Mentre ora si cominciano a sentire già i primi movimenti reattivi, di risposta, dei quali appunto la Rivista del Manifesto si propone di essere portavoce.
Ma vorrei chiudere questo resoconto anche con una mia osservazione personale. Ho perso parte dell’intervento introduttivo di Cremaschi, e dunque posso sbagliarmi. Ma né nel primo numero della rivista, né nella serata di presentazione a Trento ho sentito comparire la parola Tangentopoli, se non in uno degli interventi dalla sala, vagamente sfottitorio, che accusava i suoi estimatori di non aver capito la "modernità" del sistema mafioso di tangenti venuto alla luce grazie al lavoro del pool di Milano. Chi scrive è personalmente convinto che Mani Pulite è stata l’unica rivoluzione mai attuata in Italia, parzialmente vincente se è stata in grado di mandare a casa la parte più corrotta del sistema dei partiti (e delle imprese collegate) e di aprire indirettamente la porta ad un rinnovamento della vita politica italiana che ora questo governo sembra aver quasi l’idea di poter anche socchiudere (vedi vicenda del "giusto processo" e non solo). Non è questo della trasparenza economico-amministrativa un settore fondamentale per qualunque risposta a gruppi di pressione e lobby di ogni tipo? Quello delle regole - certe e cogenti - non è un problema di tutti, ma dei più deboli prima che di tutti gli altri? O pensa forse l’altra sinistra, che ha prodotto questa nuova pregevole rivista e che l’ha presentata a Trento, che la progressiva chiusura degli spazi di legalità vera aperti dalla stagione di Tangentopoli non meriti una vera urgenza, e che si possa tralasciare di difenderli con le unghie e con i denti? Che l’efficienza incrinata inevitabilmente dalla mancanza di trasparenza non sia affare dei lavoratori ? (e chi ne paga poi i conti in rosso?). Se è così dissento fortemente. Ma spero di sbagliarmi e di leggere qualcosa sull’argomento in uno dei prossimi numeri.