La Cassa Rurale e i sindaci
Autonomia al ribasso
E' un esempio di "Autonomia al ribasso" quello che stiamo per narrare, di uso cioè della facoltà di legiferare in sede locale per avere norme più arretrate che nel resto d’Italia, profondamente inadeguate alla nuova società trentina. E, per fortuna, è anche un esempio di possibile positiva soluzione del problema; a dimostrazione della compresenza di potenzialità e arretratezze nel Trentino odierno.
Il caso riguarda la cooperazione, nel suo settore oggi di maggior successo, le Casse Rurali. Sappiamo tutti che le Rurali non sono più le banchette di un tempo, hanno ciascuna depositi e impieghi per centinaia di miliardi. Non possono quindi più essere amministrate alla buona; a scanso di esiti disastrosi come quello recente del buco multimiliardario della Cassa di Storo.
L’assessore regionale competente, Franco Panizza del Patt, ha presentato in merito un disegno di legge; disegno però decisamente carente proprio sul fronte dei controlli. Su due punti. Anzitutto nel collegio sindacale, per i cui componenti, a differenza di quanto si prevede a livello nazionale (ecco l’Autonomia al ribasso), non è previsto alcun requisito di professionalità; insomma un collegio di sindaci formato dalla maestra, il macellaio e un agricoltore è perfettamente in regola.
Secondo punto: a fine anno viene effettuata la certificazione del bilancio (l’atto con cui si garantiscono azionisti e risparmiatori sull’attendibilità delle cifre); ma il ddl di Panizza non prevede che questo fondamentale momento di garanzia sia svolto da un organismo terzo, indipendente, ma lascia immutata la situazione attuale, in cui la certificazione viene svolta dall’associazione di categoria cui la banca aderisce (la Federazione delle Cooperative) anzi, dagli stessi funzionari che durante tutto l’anno svolgono attività di consulenza presso la Cassa. Insomma si va avanti con i controllati che fanno anche i controllori.
Il progetto Panizza, autorevolmente ispirato dalla Federazione Cooperative trentina e dall’omologa sudtirolese, viaggiava tranquillamente verso una scontata approvazione. Senonchè inopinatamente si è messo di traverso Remo Andreolli, assessore provinciale al lavoro, qui nelle vesti di consigliere. Forse perchè di professione bancario, quindi sensibile alle tematiche dei controlli negli istituti di credito; forse perchè delle Giudicarie, quindi allertato dal disastro della Cassa di Storo; forse perchè - dicono i maligni - vuole fare uno sgambetto alla presidente regionale Margherita Cogo che inconsapevole approvava il ddl del proprio assessore Panizza; insomma comechessia Andreolli scoperchiava la pentola e si opponeva al pastrocchio. In termini forse non consoni al galateo politico (non ne discuteva nè nel partito - i Ds - peraltro perennemente in altre faccende affacendato; nè nella maggioranza di cui pure fa parte con Cogo e Panizza), ma con indiscutibile competenza, presentava un emendamento al ddl Panizza, corredato da tutta una serie di convincenti motivazioni tecniche, con cui si imponeva la professionalità dei revisori contabili e la terzietà della certificazione.
La cosa veniva subito presa nel mondo politico come un golpe: "perchè lo fa? cosa c’è dietro?". E nel mondo cooperativo come un attentato: "E’ un’indebita ingerenza. Non abbiamo bisogno di tutori, sappiamo gestirci da soli.".
"Il mio emendamento non vuole essere contro la cooperazione; vuole fornire maggiori strumenti a una realtà in forte crescita - ci dice Andreolli - Il principio è semplice, banale: tener separata l’amministrazione dai controlli.". Insomma, in una Cassa Rurale che gestisce centinaia di miliardi, non è pensabile che i sindaci, cioè i controllori, siano una propaggine del Consiglio di Amministrazione; la pratica ci dice che tante volte vengono nominati sindaci i primi dei non eletti nel cda. In questa maniera, con la non professionalizzazione degli organismi di controllo, la Cassa non è più democratica, lo è meno; è in mano a pochissime persone, forse una, il direttore.
E qui può scattare un altro meccanismo, da noi più volte evidenziato: il formarsi di una solidarietà tra ceti dirigenti, tra direttori e funzionari della Cooperazione; sopra la testa dei soci. Di qui la necessità del secondo punto: la terzietà di chi certifica i bilanci.
La reazione negativa della Federazione deriva dalla presunzione di mantenere l’antico privilegio di essere l’unico momento regolatore del movimento (e per di più l’attività di certificazione è un cespite non indifferente di guadagno). In realtà nei convegni si è predicato il contrario; dopo il caso di Storo si è molto detto sull’indispensabilità della professionalizzazione dei sindaci...
La posizione della Federazione non è sostenibile: soprattutto, ricordiamolo, in un movimento come quello cooperativo, che in definitiva è portato avanti da decine di migliaia di persone. E così, mentre scriviamo, i vertici di via Segantini stanno lanciando segnali di pace, proponendo forme di mediazione.
Probabilmente si arriverà a una soluzione decorosa. Ma è possibile che in Trentino, per avere una legislazione meno arretrata di quella nazionale, dobbiamo confidare sulla buona volontà (o sull’impuntatura) di un singolo consigliere?