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QT n. 19, 6 novembre 1999 Fondo

Un allarmante clima di rivincita

Cossiga, Andreotti, Boselli, la prima repubblica rialza la testa.

E' stato detto che la storia si ripete: prima si manifesta con le forme del dramma, poi assume quelle della farsa. Ed infatti in queste ultime settimane abbiamo visto riapparire in primo piano con inusitata insistenza un altro segretario socialista, quell’ Enrico Boselli che, se paragonato al suo predecessore Bettino Craxi, che per certo ha impersonato il protagonista di un dramma, presenta con pari certezza tutte le caratteristiche dell’ interprete di una desolante farsa. Tanto Bettino è corpulento quanto Enrico è esile e mingherlino. Il primo è arrogante ed estroverso, il secondo è prudente e timiduccio. Craxi era arso dall’ambizione di essere il capo, Boselli è dominato dalla fretta ansiosa di ripararsi sotto l’ala imprevedibile di Cossiga. Il latitante di Hammamet sfruttò spregiudicatamente il potere di coalizione che la situazione gli aveva offerto e con il solo 14% dei voti s’insediò a Palazzo Chigi e fondò il Caf , il Boselli con 5 o 6 parlamentari generosamente eletti nelle liste dell’Ulivo e mimetizzaztisi nel gruppo misto, raccatta nel Trifoglio i miseri cascami di un’epoca ormai defunta.

Fra questi primeggia Cossiga, senatore a vita, e che quindi non rappresenta che se stesso, e tuttavia di lui si deve riconoscere che dispone davvero di una fantasiosa facondia, della quale fa quotidianamente uso con l’unica prerogativa presidenziale di cui è dotato, la irresponsabilità. A portare alla ribalta questa strana coppia è stato il proscioglimento di Giulio Andreotti dall’accusa di partecipazione esterna alla Mafia, nonché l’intempestiva iniziativa di Rutelli e Parisi, per conto dell’Asinello, volta a rilanciare l’Ulivo ed a formare un secondo governo D’Alema con la presenza di tutti i gruppi della sua maggioranza. Passato e presente si sono così intrecciati, in una confusa dissolvenza in cui immagini e personaggi di ieri e di oggi si sovrappongono in un frenetico tourbillon da incubo.

Spicca la solitaria figura del divo Giulio, compostissimo durante il processo, tanto da far sfigurare gli altri imputati eccellenti - Craxi, Berlusconi e Previti - che invece verso i magistrati tengono il rozzo contegno che fu di Al Capone. Ma appena assolto, è tornato ad essere più che mai se stesso: allusivo, insinuante, vendicativo sotto una simulata indulgenza. Tutta una vita condotta sul filo del rasoio, il potere gestito con un cinismo che ha raggiunto le vette del genio. Una inclinazione morbosa verso l’ebbrezza del rischio, ricercata con la frequentazione costante di personaggi di dubbia o infame reputazione, i Ciarrapico e i Caltagirone, il Sindona e i Salvo, il Lima ed il Ciancimino. L’incarnazione più alta dell’astuzia, la deteriore virtù nazionale che abbiamo ereditato da Ulisse.

Identificare Andreotti con tutta la Democrazia Cristiana è però un ignobile arbitrio, esattamente come lo è la pretesa di far coincidere Craxi con il Psi ed il socialismo italiano. Entrambi i partiti hanno una loro storia ben diversa, più complessa, con ombre e luci, ma con una loro nobiltà e con meriti indubbi verso il popolo italiano. I due personaggi in questione sono soltanto le figure più rappresentative della fase del declino delle due forze politiche che nell’ultimo decennio della prima Repubblica hanno portato ad una degenerazione del costume e, non per caso, alla devastazione della finanza pubblica.

Dal 1992 è iniziato il risanamento dei costumi con Mani Pulite e della finanza pubblica con i vari governi che si sono succeduti.

Come spiegarsi questo odierno remake, questo prepotente ritorno sulla scena di quei vecchi personaggi e delle loro antiche pretese?

Da dove viene questa fragorosa ondata che ha rovesciato sulle spiagge della nostra politica i rottami di un naufragio? Televisioni e giornali di destra, ma anche fogli più o meno paludati con pretese di centro, hanno portato una folata rancida di antichi rancori, creando un allarmante clima di rivincita che minaccia di far vacillare le basi stesse di una società civile.

I collaboratori di giustizia, i pentiti, stanno per essere percepiti come assai più pericolosi e nocivi della stessa criminalità organizzata.

I magistrati che hanno indagato contro la Mafia e la corruzione sistematica degli anni ’80 sono additati come complottardi comunisti.

Si reclama una commissione parlamentare su Tangentopoli al fine manifesto di accreditare la falsa opinione che tutti avevano rubato e che quindi nessuno è colpevole.

Tre linee di azione che nel loro assieme formano un ben congegnato piano di attacco, concepito ed orchestrato da una mente collettiva che trova, nella società civile e nel sistema informativo, poderosi complici sostegni.

Dunque, è ancora presente fra noi ed aggressivo, quel virus che alimenta il sovversivismo di destra, fatto di affarismo avventuristico, di insofferenza della legalità, di disprezzo dei deboli e dei valori di solidarietà sociale, pronto a sotterranee alleanze con la criminalità organizzata.

Lo dimostrano i successi del berlusconismo. Riuscirà l’Italia dei Ciampi, dei Prodi, degli Amato, dei D’Alema e dei Cofferati, dei Castagnetti e dei Veltroni ed anche dei Di Pietro e dei Caselli a resistere all’assalto?

In questa sfida risiede l’enorme responsabilità dell’Ulivo.

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