Mamma Provincia e il business energia
Su centrali e energia elettrica si è avviata una partita di qualche migliaio di miliardi. Il difficile passaggio dagli anni del monopolio (Enel) e delle piccole rendite di posizione (municipalizzate) alla liberalizzazione e al mercato globale. Proviamo a capirci qualcosa.
Dire che raccapezzarsi nel mondo sempre più in subbuglio della produzione energetica sia oggi un’opera improba, è certo un eufemismo. Da quando si è aperto il capitolo sulle centrali ex Sava nel Primiero in concomitanza con l’annunciata liberalizzazione del mercato elettrico voluta dal ministro Bersani, se ne sono sentite di cotte e di crude, ma fino ad ora nessuno, né i dirigenti provinciali, né i manager dell’Enel, sanno ancora dirci cosa succederà non solo negli anni a venire, ma neppure nei prossimi mesi.
L’unica certezza è che, come hanno stabilito le norme di attuazione approvate la settimana scorsa dalla Commissione dei Dodici, le concessioni Enel per lo sfruttamento delle centrali idroelettriche del Trentino scadranno nel 2010 e torneranno così in mano a mamma Provincia. Per capire come si è arrivati a questa decisione e per provare a immaginare un seppur sfuocato scenario, dobbiamo fare un passo indietro.
Dalla nazionalizzazione dell’energia alla privatizzazione dell’Enel. Dopo la discussa nazionalizzazione degli impianti energetici e la nascita dell’Enel nel 1962, non tutti i soggetti distributori e produttori vennero cancellati (per esempio ancora oggi l’Asm provvede alle necessità della città di Rovereto, mentre gli impianti della Sit di Trento vennero espropriati). Sopravvissero quindi una quarantina di soggetti che a vario titolo e in diversa misura lavorano tutt’oggi nell’ambito energetico e forniscono i servizi energetici al 40% degli utenti della provincia. Queste società o consorzi erano sostenuti anche dal punto di vista economico, visto che godevano del vantaggio di comperare il proprio fabbisogno di energia dall’Enel a prezzi tanto favorevoli quanto fuori mercato (circa 5 volte meno del prezzo al quale la stessa energia veniva poi venduta al cittadino). La sopravvivenza era così assicurata.
Intanto nel 1977 le norme di attuazione dello Statuto venivano approvate e si delineavano le regole con cui si dovrebbe realizzare l’autonoma gestione delle risorse energetiche da parte della Provincia. "Quella legge - ci ha detto un dirigente dell’Enel – stabiliva la possibilità per ogni Comune di dotarsi di un’azienda municipalizzata che provvedesse alla distribuzione dell’energia elettrica sul proprio territorio subentrando alla rete dell’Enel. Questa normativa nasceva, forse, con lo spirito della cooperazione, ossia si pensava fosse possibile la distribuzione sul territorio provinciale grazie a un sodalizio di più comuni.".
Si prevedeva da un lato l’istituzione di un’Azienda speciale per l’energia (Aspe) che doveva tracciare il piano della distribuzione e occuparsi della rete di alta e media tensione, assorbendo il personale Enel in provincia (in pratica l’Enel sarebbe sparita) e dall’altro la nascita di un comitato di coordinamento Provincia-Stato che verificasse la razionalità del sistema e garantisse che non ci fossero scadimenti nella fornitura. Ma, secondo il nostro dirigente, un sistema con tante piccole aziende divise non stava in piedi: "In effetti addirittura uno studio della Provincia commissionato nei primi anni Ottanta affermava che era difficile stabilire se l’operazione fosse economicamente produttiva, ma che comunque il tutto era estremamente intricato e difficoltoso".
E difatti per vent’anni quasi tutti gli assessori all’energia si sono dichiarati pronti ad applicare questo dispositivo, ma poi nei fatti nessuno vi ha messo mano, vista la complessità dell’operazione.
Insomma, per quel che riguardava la futuribile gestione delle risorse elettriche da parte della Pat come sancito dallo Statuto, per anni non si fece quasi nulla.
A scombussolare il quadro ci ha pensato l’Unione Europea che, come succede sempre più spesso, si sostituisce al nostro povero legislatore per inserire elementi innovatori nel sistema socio-economico. Con una direttiva europea del ‘92, si imponeva ai Paesi che non lo avessero ancora fatto la progressiva ma completa liberalizzazione del mercato elettrico, introducendo novità importanti come la libera circolazione dell’energia. Il governo italiano e più in particolare il ministro Bersani si trovarono così nella necessità di dismettere uno dei tanti monopoli statali italiani, l’Enel.
La cosa non è stata così semplice, visto che si è voluto ribaltare il procedimento già adottato per Telecom, dove si era provveduto a privatizzare l’azienda prima di liberalizzare il mercato. Anche per questo il decreto è entrato in vigore solo dal marzo di quest’anno dopo un periodo di travagliata discussione.
In primo luogo l’Enel si smembra in tre tipi di soggetti elettrici: uno per la trasmissione dell’energia ad alta tensione lungo le dorsali della rete nazionale (di fatto rimarrà lo stesso Enel); uno per la distribuzione, ossia per il trasporto e le consegne dell’energia ai clienti finali; e da ultimo la produzione diretta.
In secondo luogo si definiscono i clienti idonei, ossia quelli che superano un certo limite di consumo. Di fatto l’unica vera liberalizzazione del mercato (e certo non si può dire che sia poca cosa in un Paese come il nostro) riguarda proprio loro: quelli che a tutt’oggi raggiungono la soglia dei 30 milioni di Kwh consumati (in pratica grandi industrie), potranno cercare sul mercato l’energia più conveniente già dal prossimo anno, possibilità che in seguito viene ulteriormente ampliata.
Inoltre si costituiscono per legge un certo numero di soggetti economici e di controllo.
In pratica si realizza un complicato sistema di scatole cinesi: l’Enel, pur mantenendo di fatto la proprietà, costituisce una società a cui cede tutti i beni inerenti la trasmissione che diviene appunto il gestore della rete di trasmissione nazionale. Questa società a sua volta ne costituisce un’altra, denominata acquirente unico, che serve tutti i clienti vincolati, ossia tutte quelle aziende o società di servizi (i distributori) che non raggiungono limiti di consumo tali da farle rientrare nel novero dei clienti idonei (cioè quelli che possono rifornirsi di energia a loro spese da qualsiasi produttore europeo).
La Provincia alla caccia delle centrali trentine. L’Enel, in virtù della liberalizzazione, è però costretta a mettere sul mercato alcuni impianti che le erano stati concessi nel corso degli anni, così da permettere la libera concorrenza tra i produttori di energia. Stesso discorso anche per gli impianti che sfruttano fonti rinnovabili (acqua, vento, maree, ecc.); e qui entra di nuovo in gioco la nostra provincia ricca di impianti idroelettrici.
Lo sfruttamento dei corsi d’acqua, essendo patrimonio collettivo, è nelle mani ancora oggi dello Stato, il quale consente la produzione a determinati soggetti (in primis l’Enel) in virtù di concessioni temporanee. Appoggiandosi a questa normativa, la Pat ha cominciato a muoversi fin dalla scorsa legislatura per poter gestire direttamente le concessioni per lo sfruttamento degli impianti idroelettrici. Ma in Trentino c’era un motivo in più per intraprendere quest’improbo impegno, ossia la vicenda delle ex Sava.
"Gli impianti ex Sava - ci dice il dirigente Enel - sono passati all’Enel nel 1984. Ma l’allora assessore Ricci eccepì che le due Province hanno competenza primaria anche sull’energia, e quindi sarebbe spettato alla Pat decidere a chi assegnare la concessione; in soldoni, chi (Enel o consorzi locali) utilizzasse l’acqua e quindi gestisse gli impianti. Viste le difficoltà a dirimere la vicenda, nel 1989 si è deciso di dare una scadenza alla concessione Enel fino al 1999, ammesso che per quella data la Provincia si fosse attrezzata istituendo l’Azienda speciale (vedremo poi perché, n.d.r.) o predisponendo un piano di distribuzione provinciale."
Con l’avvicinarsi della scadenza, la Giunta provinciale e l’assessore Vecli si diedero da fare per portare a casa le ex Sava, anche solo come titolo di merito con cui presentarsi alle imminenti elezioni. La legge venne approvata nel febbraio del 1998 istituendo così l’Aspe, ossia quella speciale agenzia che dovrebbe gestire il sistema energetico trentino.
I maligni sostengono che quella legge venne approvata senza affrontare un ragionamento complessivo sull’esito finale della vicenda elettrica nella nostra Provincia. Ed in effetti ad una prima occhiata del testo della legge istitutiva, i compiti dell’Aspe sono a volte anche contraddittori.
In primo luogo l’Aspe nasce - di fatto - con il compito di controllare il subingresso del Consorzio del Primiero negli impianti dell’ex SAVA: questo però rappresenta un impegno contingente.
Le attività di lungo periodo dell’Azienda Speciale sono altre: essa deve predisporre i controlli tecnici sulle aziende distributrici, assistere tecnicamente le imprese elettriche locali, costruire e gestire le reti di alta tensione, acquisendo quelle di proprietà dell’Enel. Inoltre però essa ha un’altra funzione: vendere energia a tariffe agevolate agli enti pubblici, a ben definiti clienti privati, alle aziende. Per assolvere a quest’ultimo compito la legge stabilisce che l’Aspe rientri tra i clienti idonei, ossia, come abbiamo già visto, tra quelli che possono approvvigionarsi liberamente sul mercato europeo.
Detta così, sembra che l’Azienda Speciale si trasformi in un soggetto economico piuttosto che in un controllore del mercato. Proprio perché quest’interpretazione porterebbe ad un monstrum legislativo (lo stesso soggetto sarebbe controllore e attore del mercato), pochi mesi fa, in occasione di un convegno, l’esigenza di un chiarimento in merito fu espressa dallo stesso presidente Aspe, Lodovico Boschetti, che sostenne come fosse "necessario uno sforzo non marginale di natura giuridica per definire il ruolo di Aspe e capire il corretto significato che il legislatore ha inteso assegnare all’Azienda Speciale con l’attribuzione delle prerogative di cliente idoneo". Insomma lo stesso Boschetti sembra molto scettico sull’opportunità che l’Aspe agisca da soggetto economico; mentre invece pare auspicare per l’Aspe il ruolo di "soggetto deputato al trasporto e allo scambio di energia tra i vari gestori locali, favorendo il superamento della frammentazione al fine di assicurare un servizio di qualità efficiente ed economico", evidentemente paventando il rischio di una frammentazione del complessivo sistema energetico.
Pare dunque concreto il pericolo di passare dal monolite Enel a una galassia improduttiva di piccoli soggetti non concorrenziali sul mercato globale (l’energia si può agevolmente trasportare, per esempio, dalla Russia).
Crescerà un mercato elettrico in Trentino? A questo punto è necessario affrontare l’ultimo capitolo della vicenda elettrica in Trentino. Quest’ultimo ragionamento parte dalla constatazione che, se si dismette un monopolio come quello dell’Enel, è perché si ravvisa la necessità di aprire il mercato a nuovi competitori attirati dalla prospettiva di buoni guadagni. Ma in realtà l’energia idroelettrica trentina rappresenta un vero business?
Per cercare di rispondere al quesito bisogna tener presente alcuni aspetti: in primo luogo i soggetti economici (produttori e distributori), avendo funzioni estremamente diverse, hanno anche redditività differenti e non facilmente individuabili. Fino a pochi anni fa, in regime di quasi monopolio, i pochi soggetti elettrici esistenti al di fuori di esso, trovavano estremamente remunerativa sia la produzione che la distribuzione: infatti, fin dalla sua nascita, l’Enel doveva vendere la sua energia alle municipalizzate distributrici a prezzi - come abbiamo detto - irrisori, mentre era obbligata a comperare dai produttori la loro energia eventualmente prodotta in eccesso a quasi il triplo di quel prezzo (ed ecco quindi il motivo del proliferare dell’incredibile business delle centraline). Ma con le nuove normative per la produzione la cuccagna è terminata, l’Enel non compera più l’energia in eccesso né, in un prossimo futuro, sarà costretta a svendere la propria energia a municipalizzate distributrici. Insomma, si va verso un sistema competitivo: gli affari non sono più garantiti da norme compiacenti, si fanno solo se si è capaci di farli.
In secondo luogo bisogna considerare che la disponibilità energetica del Trentino è sì in esubero rispetto al fabbisogno locale, ma non in quantità tali da prevedere un lucroso commercio con soggetti extraprovinciali. Di quest’avviso è lo stesso assessore Pinter: "Per la Giunta provinciale - ci ha ribadito - è prioritaria esclusivamente l’energia prodotta per l’auto-consumo."
Quindi non si prospettano possibilità di vendere energia idroelettrica fuori provincia. In più, se fino ad oggi l’idroelettrico ha avuto un florido mercato poiché, per ragioni tecniche, riesce a sopperire immediatamente ai picchi di richiesta energetica, fra pochi anni non sarà più così. "Con l’allargamento della rete europea fino alla Russia - ci ha raccontato il nostro esperto - ci sarà un’eccedenza di energia tale da far perdere valore all’idroelettrico proprio perché non dovrà più coprire le punte massime di richiesta. Quindi, a parità di costo, l’idroelettrico avrà una preferenza all’energia d’altro tipo solo perché prodotta da fonti non rinnovabili."
Fatte queste premesse, l’unico mercato che si apre è quello locale. Per questo, ora, dobbiamo fare i conti con le questioni economiche e organizzative del sistema di casa nostra.
Come stabilisce l’ultima normativa, i soggetti privilegiati al subentro nelle concessioni energetiche sono i vecchi gestori (per lo più Enel ed Edison) e gli Enti locali (consorzi o aziende municipalizzate).
Di fatto possiamo ipotizzare uno scenario di questo tipo: la Provincia, da una parte, si impegna a indennizzare Enel ed Edison per gli investimenti sugli impianti approntati negli anni in cui la gestione è stata nelle loro mani; dall’altra, sostiene anche finanziariamente la nascita di aziende a capitale pubblico con l’ingresso obbligatorio (almeno così si dice) di una quota non ben specificata di capitale privato.
Se è vero che, detta così, anche per un privato quest’operazione potrebbe diventare economicamente vantaggiosa, il problema è poi garantire il pieno funzionamento degli impianti e la qualità del servizio.
Qui i costi lievitano paurosamente se non si ha la possibilità di concentrare le risorse (le piccole aziende aumentano solo i costi fissi, non fanno economia).
Ed è anche per questo che l’Enel torna prepotentemente in gioco. Senza l’apporto di Enel, in effetti il business sarebbe a rischio, non solo per la produzione, ma anche per quello che riguarda la distribuzione, visto che ora l’automazione è tanto avanzata che presto tutta la rete del Triveneto, con soli due addetti, verrà gestita da Mestre.
Aquesto punto, di fronte alla necessità di investimenti per migliaia di miliardi, la grande impresa torna ad essere indispensabile, tanto che, secondo Pinter, "la Provincia di Trento non è interessata, come succede a Bolzano, a farsi la sua piccola Enel provinciale. Sarebbe comunque difficile fare concorrenza all’Enel, vista l’insostituibile competenza tecnologica di quest’azienda: in fondo sarebbe stupido dover indennizzare l’Enel per centinaia di miliardi quando si possono fare società insieme."
Insomma l’Enel scacciato dalla porta (come monopolista pubblico) rientrerebbe, privatizzato, dalla finestra (in un ruolo più ridotto, di comproprietario dei consorzi locali).
Il problema rimane però la gestione di un sistema fino ad oggi strettamente interconnesso, che in futuro si frammenterà in tante aziendine a capitale pubblico e privato sparse sul territorio provinciale. Per Pinter, è proprio la partnership con l’Enel a garantire il buon funzionamento del sistema, che al contempo vedrebbe la partecipazione di Enel in quasi tutte le aziende di gestione ma - secondo l’assessore - "manterrebbe di fatto una forte caratterizzazione locale".
In pratica il disegno di Pinter è quello di dividere il territorio trentino in pochi ambiti territoriali ottimali (ossia omogenei), in cui sorgeranno enti di gestione della distribuzione (o produzione) in forma associata tra tutti i soggetti operanti in quella zona. Per l’assessore all’energia, "in questi ambiti ottimali potranno esserci anche più società che però dovranno essere ricondotte a standard di qualità, di efficienza e prezzo normati dalla Autorità. Se gli standard non verranno soddisfatti da parte di queste piccole aziende, la conseguenza logica sarà una maggiore concentrazione."
In questo quadro perde consistenza l’ipotesi che il business energetico possa attirare il capitale e il risparmio privato. Infatti la Pat finanzierebbe gli Enti locali nel subentro alle concessioni e non si può immaginare che analogamente finanzi soggetti privati; allo stesso tempo, inoltre, la Pat si accorderebbe con l’Enel per la partecipazione alle future società elettriche locali: in questo quadro lo spazio per investimenti privati è molto esiguo.
Per alcuni invece, questa poteva essere l’occasione per offrire possibilità di investimenti produttivi alla massa dei capitali trentini oggi sottoutilizzati.