Laici e scuole private: stiamo forse sbagliando tutto?
Nello scorso numero Giorgio Tosi nella rubrica "II diritto e il suo rovescio" avanzava una perplessità: non è che nell'attuale aspro dibattito sulla parità scolastica, i laici sbaglino obiettivo? Insistano cioè nel rispetto al dettato costituzionale sui finanziamenti, invece di pretendere il rispetto di altri più basilari principi, quali la libertà d'insegnamento? E non è che allora, per una scuola privata rispettosa della pluralità al suo interno, anche il problema del finanziamento diverrebbe meno lacerante? E in fin dei conti, non è su questa strada che si sta avviando, con la legge sulla parità, lo stesso ministro Berlinguer? Insomma, non è che gli studenti e i laici stiano sbagliando obiettivo?
A Tosi risponde a pag. 22 Renato Ballardini. Per discutere invece dell'insieme di questi interrogativi, abbiamo invitato alcuni esponenti di area laica del mondo della scuola: Vincenzo Bonmassar della Uil-Scuola, Sandro Dell'Aira preside dell'Itg "Pozzo" ed Elisa Bellè rappresentante degli studenti al Liceo "Prati" di Trento.
Le scuole private sembrano essere una zona franca rispetto a diritti quali la libertà didattica e sindacale. Abbiamo tutti letto di docenti licenziati in quanto il loro insegnamento non era conforme ai dettami ideologici della loro scuola, o perché tenevano comportamenti privati giudicati non accettabili, come una relazione non sancita dal matrimonio. Non dovrebbe essere questo il discorso prioritario quando si parla di scuola privata? Com'è possibile che la Costituzione si arresti ai cancelli di queste scuole? Mi pare che una volta risolta questa questione, il problema dei soldi sarebbe meno lacerante.
Bonmassar: E' interessante notare come in Trentino si stia discutendo di questo problema solo dopo che ha assunto una valenza nazionale. Nel 1990, quando fu approvata la legge 29 (quella che finanzia la scuola privata in Trentino) eravamo in quattro gatti a sostenere l'incostituzionalità di quel provvedimento.
Precisiamo poi che il problema sussiste non per la scuola privata in generale, ma specificamente per la scuola cosiddetta "di orientamento ", in particolare quella confessionale. C'è un solo partito, Forza Italia, che propone il sostegno anche alle scuole a fini di lucro; tutti gli altri chiedono l'accesso al finanziamento pubblico solo per le scuole confessionali. Il problema è che queste ultime si reggono su norme che non sono di diritto pubblico, ma di diritto canonico ed ecclesiale: sia per quanto riguarda l'organizzazione del lavoro che la didattica. Questo è un aspetto che sfugge alla maggioranza dell'opinione pubblica, eppure è qui che dovrebbe incentrarsi il dibattito. Il denaro pubblico, ammesso che possa essere erogato per iniziative private, può essere gestito attraverso norme diverse da quelle fissate dallo Stato? Può essere riconosciuta una funzione pubblica a una forma imprenditoriale che abbia come norma costitutiva qualcosa che non sia il diritto pubblico ?
Bellè: Si parla di finanziare la scuola privata con 340 miliardi, che su un bilancio di 60.000 non sono poi una gran cifra; però con questa decisione si aprirebbe una strada mai percorsa, che va contro il dettato costituzionale, e di qui le polemiche, che poi hanno portato a rivedere le cose: adesso i 340 miliardi non sono più destinati alle scuole private, ma ad una eventuale legge di parità. Ma qui siamo di fronte come si diceva prima a zone franche rispetto ai pluralismo, ai diritti sindacali, ecc. Dunque una legge di parità va fatta, ma non per arrivare al finanziamento, che è quello che in definitiva chiede la Cei, bensì per attuare una regolamentazione che oggi nella privata non esiste: in merito ai criteri di assunzione degli insegnanti, alla rappresentanza degli studenti, alle finalità stesse dell'insegnamento...
Ma è possibile arrivare a contestare anche le finalità che una scuola privata si propone? O non è forse giusto limitarsi a rivendicare il rispetto di quei diritti di cui prima si diceva?
Bonmassar: Viene sempre citato l'art. 33. ma qui è in discussione tutta l'impalcatura della Costituzione. L'articolo 1 del decreto legislativo 297 del 1994 (la legge fondamentale che regola la scuola pubblica in Italia) afferma che la scuola deve garantire "la libertà di insegnamento intesa come autonomia didattica e come libera espressione culturale del docente" e che "l'esercizio di tale libertà è diretto a promuovere, attraverso un confronto aperto di posizioni culturali, la piena formazione della personalità degli alunni". Questa è la scuola della Repubblica, una scuola che vieta di dare una sola visione delle cose. La scuola confessionale, per definizione, nega invece il pluralismo, eppure la Conferenza Episcopale Italiana chiede per questo tipo di scuola i quattrini del contribuente italiano. Di questo si deve discutere, anziché affermare sciocchezze come quella per cui la scuola confessionale garantisce la qualità. La scuola privata non può, in quanto tale, garantire la qualità: garantisce la monoculturalità!
Si vuole che lo Stato italiano, attraverso i fondi della fiscalità generale, sostenga tendenze monoculturali; ma la mia appartenenza religiosa deve essere un fatto di diritto privato, e nel momento in cui, attraverso la fiscalità, si riconosce invece una funzione pubblica alla mia coscienza filosofica o religiosa, si reintroduce il principio della filosofia di Stato, della religione di Stato, della monocultura che diventa cultura pubblica. Questo è il rischio più grave. Dicono che l'Italia è il solo paese europeo oltre la Grecia che non finanzia le scuole private. Ma l'Italia è l'unico paese del mondo occidentale ad ospitare sul suo territorio la capitale di una confessione religiosa e ad avere un Concordato inserito nella propria Costituzione (l'ari. 7). Questa diversità va reclamata anche quando lo Stato, in difesa della sua laicità deve dire no a questa richiesta, che ha un fondo di tipo integralistico.
Dell'Aira: Io non sono molto d'accordo con quell'art. 1 che incentra tutto sul docente, al quale si garantisce ogni diritto. E agli studenti cosa viene garantito?
Quanto al pluralismo: nel rispetto della libertà d'insegnamento e di apprendimento, i progetti educativi d'istituto sono tutti 'politici'. Però devono essere, metodologicamente inattaccabili. Politici nel senso che hanno una loro radice, un 'ipotesi di lavoro, degli obiettivi: altrimenti non sono nulla. Detto questo, è evidente che non si può assolutamente consentire che un'insegnante incinta venga licenziata o che un insegnante, prima di essere assunto, debba firmare una lettera di dimissioni.
Bellè: Ci sarebbe da fare anche un discorso sulla formazione degli insegnanti, ovunque lavorino. Una formazione in tema di pedagogia, di psicologia, di comunicazione...
Resta la domanda iniziale: non sarebbe doveroso normare le scuole private, in maniera che rispettino alcuni fondamentali principi della Costituzione?
Bonmassar: Lo Stato non ha il diritto, non ha la possibilità di intervenire sui principi su cui si basa la scuola confessionale. E la tutela sindacale di chi ci lavora esiste sì, ma all'interno di quel particolare contratto di lavoro.
Lo Stato riconoscerebbe quindi ambiti entro cui princìpi come la libertà d'insegnamento non sono più validi.
Bonmassar: La libertà d'insegnamento in queste scuole non c'è, ne può essere imposta dall'esterno, in quanto la loro finalità è proprio di educare secondo una specifica dottrina. Lo Stato a questo punto non può imporre alcun rispetto di diritti, ma neppure può finanziare queste attività. La Costituzione, in questo, non solo è precisa, ma anche estremamente coerente.
Ma l'annunciata legge sulla parità dovrebbe proprio porre rimedio a questa situazione...
Bonmassar: E' un disegno di legge furbesco, che confonde due concetti; da una parte la parità intesa come riconoscimento legale del titolo di studio; dall'altra la parità degli effetti educativi, che, trattandosi di scuola di orientamento, non può esistere.
Eppure il ministro Berlinguer dice di voler regolamentare queste scuole.
Bonmassar: Dal punto di vista della libertà di insegnamento semplicemente non può farlo; è un proponimento fasullo.
Passiamo a un altro ordine di considerazioni. Non necessariamente i servizi pubblici devono essere gestiti dallo Stato: e anche nell'istruzione forse i privati potrebbero garantire, grazie ad una maggiore agilità ed efficienza, la scuola 'di qualità'. Ma c'è un'obiezione: non è che con queste scuole si tornerebbe indietro rispetto a una conquista degli ultimi decenni, quella di favorire la conoscenza e la convivenza delle diverse classi sociali, almeno durante il periodo dell'obbligo? Una scuola di qualità - ci ha insegnato Don Milani - finisce per diventare la scuola dei benestanti. Non si tornerebbe ai tempi in cui, accanto alle medie, c'era l'avviamento professionale riservato ai poveracci?
Bellè: Il privato che investe nella scuola di qualità tende ovviamente ad operare dove il suo investimento può essere più redditizio in città, nelle zone meglio servite dove c'è più affluenza. Dunque, non solo viene meno l'incontro fra appartenenti a ceti diversi, ma si accentua la differenza fra una scuola di élite e una scuola ghetto. Un contrasto che già ora esiste fra scuola pubbliche dei quartieri bene e scuole di serie B di periferia, e che si aggraverebbe.
Dell'Aira: Sulla scuola "di qualità ": io mi chiedo perché mai la scuola pubblica non dovrebbe essere in grado di funzionare bene. Poi però constato, in essa, una eccessiva centralità della comunicazione verbale intesa come assenza totale di compiti scritti; anche perché gli insegnanti si affollano sul tempo prolungato perché in tal modo non ci sono compiti da correggere a casa. Sono discorsi che ho sentito con le mie orecchie... Parliamo di supplenze: se in una scuola privata un insegnanti si ammala, la classe va avanti anche due mesi senza un supplente, con le ore coperte a turno dai colleghi. Poi, quando il docente ritorna, riversa sui ragazzi l'ansia di dover recuperare il tempo perso, e ci riesce, mi facendoli soffrire. La scuola pubblica invece, dopo pochi giorni di malattia, prende il supplente, che passa le giornate a scrivere sciocchezzuole (primo approccio, conoscenza della classe, presentazione congedo); e quindi se ne va senza aver detto una parola di matematica o d'italiano. La supplenza, nelle scuola pubblica, è altamente improduttiva. La mancanza del supplente per l'alunno della privata, è invece produttiva, anche se fa soffrire i ragazzi. Dobbiamo allora dire che le scuola migliore è quella che fa soffrire? Per carità! Ma l'alternativa non dev'essere non fare nulla. Scuola dell'obbligo non deve significare scuola facile.
Bonmassar: Non c'è dubbio che la scuola dell'obbligo ha portato a una modifica della qualità, ma ha anche prodotto altri risultati: la diffusione della scolarità, la conoscenza fra classi, l'integrazione... Qualcuno invece vuole il modello americano, dove alla scuola pubblica si rivolgono le famiglie che non possono permettersi i costi della formazione privata "di qualità". E' un progetto che riguarda gruppi ristretti di persone che vogliono emarginare i propri figli in cieli ovattati, tutelati dalla contaminazione dell'umano vivere. Sono cose di un classismo preoccupante.
Sempre in tema di scuole private, c'è la realtà di quegli istituti che garantiscono dei recuperi miracolosi, e che portano gli studenti alla maturità attraverso "viaggi della speranza" in luoghi dove sanno di trovare delle commissioni di esame più generose. Non dovrebbe, lo Stato, dare delle regole più severe in materia?
Bonmassar: Dunque, adesso parliamo di scuole a fini di lucro: alcune delle quali sono direttamente connesse al sistema produttivo (ad esempio, le scuole della Confindustria), che hanno l'obiettivo dichiarato e legittimo di formare certe figure professionali. Poi esistono i diplomifici, e qui c'è un problema di legalità più che di regole e di qualità. Su alcune di queste realtà la Guardia di Finanza dovrebbe forse indagare. Ed anche il Ministero della Pubblica Istruzione.
Dell'Aira: Non credo esista solo un problema di legalità; si tratta di evitare di fare delle leggi che permettano queste situazioni. Bisogna evitare certi meccanismi bizantini, che oltre tutto intralciano la produttività della scuola. Per questo la scuola pubblica, purtroppo, spesso tende ad essere senza sale, senza fisionomia...
Bonmassar: E' grave che un preside dica una cosa simile. La smettiamo di dire che la scuola pubblica non ha valori? La scuola pubblica ha tutti i valori della Costituzione!
Dell'Aira: Io so, ad esempio, che non posso licenziare l'insegnante che mi rende la scuola improduttiva.
Ma questa produttività è misurabile?
Dell'Aira: Certo. Una commissione di maturità assegna lo stesso tema alla classe della scuola pubblica e a quella della privata. E si fa il confronto.
Bonmassar: Ma la scuola dovrebbe avere degli effetti in termini collettivi, dovrebbe produrre un avanzamento complessivo dell'istruzione. E' lì che andrebbe misurata la produttività. Ma come si fa? Con quali standard?