Fra agiografia e dibattito
La figura del vescovo Sartori nei commenti della stampa.
Non c'è che dire: la morte di mons. Sartori e il ricordo della sua opera decennale a Trento è stata trattata dai mezzi d'informazione locale in maniera pluralistica. Nel senso che all'interno della messe di articoli comparsi nei giorni scorsi si trova di tutto: dai toni acriticamente agiografie! ad una rispettosa ma franca rievocazione dei non pochi momenti di frizione fra il vescovo e la comunità trentina, alla cronaca perfino impietosa della scarsa partecipazione dei trentini alle sue esequie.
Cogliendo fior da fiore, si ricava il ritratto finalmente completo (anche veritiero?) di un uomo tranquillo, alla buona, che si trovava a suo agio soprattutto con la gente semplice e che dunque privilegiava le visite pastorali alle parrocchie di valle, dove a detta di tutti era più amato che non nelle città.
Un uomo cordiale, incapace di rancori nei confronti dei suoi avversari, ma però fermissimo nel far valere le sue ragioni, per lo più ispirate a una visione conservatrice (ma non sempre: vedi, ad esempio, il suo interesse per l'ecumenismo), e soprattutto guidate da un rispetto assoluto nei confronti della norma canonica vigente, e perfino di certe consuetudini non scritte, come ad esempio lo stretto rapporto fra Chiesa e Democrazia Cristiana. Per lui, anche quella era una regola da rispettare, tanto da "costringerlo" ad allontanare don Vittorio Cristelli dalla direzione di Vita Trentina. Un "culto dell'obbedienza -scrive lo stesso Cristelli sull'Alto Adige- che pretendeva dagli altri, ma prima di tutto da se stesso, rinunciando a quella libertà che gli sarebbe venuta dalla sua stessa autorità vescovile".
Abbiamo fin qui parlato dei quotidiani locali e della Rai di Trento (autrice, mercoledì 30, di un lungo ed equilibrato "speciale"); un discorso a parte merita infatti il settimanale della Curia, mentre omettiamo di approfondire, per ragioni di spazio, gli atteggiamenti di alcuni uomini di Chiesa: dalla comprensibile riservatezza di mons. Gottardi nel rispondere a certe domande, alla meno comprensibile baruffa tra mons. Visintainer e mons. Costa, ufficialmente sorta per ragioni così frivole -l'organizzazione delle esequie- da rendere legittimo il sospetto di chissà quali retroscena.
Vita Trentina si chiude a riccio, mostrando di non avere le preoccupazioni espresse da don Cristelli ("evitare da una parte il panegirico per cui dopo la morte siamo tutti santi, e dall'altra una impostazione polemica, che non corrisponderebbe alla verità"): le sue pagine non ospitano contributi esterni utili all'approfondimento e alla comprensione, e nemmeno presentano una visione di parte delle questioni controverse: si limitano a censurare gli argomenti che hanno prodotto dissensi nei confronti del vescovo scomparso. La sola, fugace eccezione la troviamo nell'articolo di Piergiorgio Franceschini, che intervistando l'ex vescovo Gottardi gli chiede se a suo avviso Sartori venne scelto per "normalizzare" la diocesi; domanda che Gottardi, prevedibilmente, elude.
In 37 pagine di rievocazioni (17 sul settimanale, altre 20 nel supplemento), non si trova spazio per riprendere (magari ribadendo le versioni ufficiali) ne il cambio di direzione a Vita Trentina, ne l'allontanamento di padre Donini, o la vicenda delle chierichette, ecc.
Per trovare traccia di qualche punto dolente, bisogna arrivare a un articolo che tratta la passione del vescovo per la musica in chiesa: "Non ammetteva superficialità e faciloneria nelle celebrazioni, consapevole che la liturgia è fonte e culmine della vita della Chiesa. Di conseguenza... non mancava di richiamare quando gli interventi canori non interpretavano appieno le esigenze celebrative della comunità. In qualche circostanza questa sua coerenza espressa con coraggio ha causato incomprensioni e pregiudizi nei suoi riguardi." Null'altro.
Nulla nemmeno sulle discussioni in merito al trapianto e a quello che, leggendo le stesse cronache di Vita Trentina, appare un poco pietoso accanimento terapeutico. E neppure sul modesto coinvolgimento della comunità trentina, quale invece traspare dalla cronaca dell'Adige: "Un duomo affollato ma non stracolmo"; "Per la comunione esce un sacerdote. Si comunica un centinaio di persone: l'80% donne, I'85% anziani"; "Alla fine della cerimonia le persone davanti allo schermo sono sempre 150-200. Non sono venuti, come si diceva, dal resto della provincia. Anche i trentini non si sono riversati in città. Rispetto, certo. Ma poco calore. Probabilmente perché Trento oggi non è più la città del Concilio. E' una città più differenziata e complessa ".
Un "segno dei tempi", crediamo, che avrebbe meritato almeno altrettanta attenzione dei retorici accostamenti fra mons. Sartori e Cristo in croce, che abbondano invece sulle pagine di Vita Trentina (e non solo lì).