Dilettanti allo sbaraglio
Esame di dialetto trentino: quando il dibattito diventa delirio.
Il tutto nasce dall'emendamento alla legge di riforma dell'ordinamento dei comuni proposto dai leghisti (e firmato anche da altri intellettuali quali Moser e Casagranda), che prevede, per l'assunzione in un comune, il superamento di un esame di dialetto trentino. La conseguente discussione su questa bizzarra proposta ha permesso ad alcuni personaggi del mondo politico nostrano di mettere in luce, come mai prima, le proprie qualità dialettiche: fino a comporre un quadro d'assieme terrificante.
Divina, il più istruito della banda, fa l'analisi storica, spiegando che "la trentinità... è rimasta vittima della scuola nazionalista e cattocomunista che ha voluto omologare tutto". Ai gregari spetta la polemica pesante, cominciando ovviamente da Boso, per il quale "i teroni di posti privilegiati ne hanno già abbastanza giù in Calabria e nelle loro terre. Mi sembra una presa per le balle entrare in un ufficio e sentir dire 'minchia ' una parola sì e una no " E quelli che non passano l'esame? "Li mandiamo a so casa..." Ma in Trentino non esiste un solo dialetto... "Bisognerà conoscere tutte le 7/8 varietà esistenti", (il che ostacolerebbe anche la mobilità interna: "Un valsuganotto - nota il linguista Emanuele Banfi - avrebbe seri problemi a sostenere il concorso in vai di Non "). Per chi non avesse capito, un paio di giorni dopo Boso ribadisce: "Chi non sa il dialetto è estraneo alla nostra cultura, con noi non deve aver nulla a che fare". La pulizia etnica, come si vede, è alle porte.
Più giocherellone, il toscano Leo Boldrini, spiega in dialetto (trentino) al giornalista dell'Adige perché i consiglieri leghisti di Rovereto hanno deciso, in occasione della seduta di martedì 19, di esprimersi in dialetto: "Noi volem co sta iniziativa che la tradizion la vegna rispetada anca nele istituzion, che se parla en bon trentin anca lì " (ma in roveretano, non si dovrebbe dire 'istituzioni', 'trentini', ecc.?).
In questa polemica di alto profilo c'è posto per tutti, e mentre Boldrini parla in dialetto e il suo collega Zenatti, di AN, gli si contrappone intervenendo in latino, ecco ricomparire Paolo Primon, già leader leghista e poi fondatore della Lega del Tridente, che approfitta della situazione per farsi un po' di pubblicità: "Sono già andato in sartoria per le divise della nuova compagnia degli Schutzen, che mi accingo a presentare. Sarà una sfilata in grande stile: noi tirolesi siamo come gli scozzesi, come gli irlandesi, come i baschi,come i corsi..."
Poi, entrando in argomento, spiega che la proposta della Lega è "demenziale per una terra in cui la lingua primaria dovrebbe essere il tedesco".
Un altro leghista, Dario Rattin, dopo aver dato del "cretino" ad Andrea Castelli che aveva ironizzato sul "patentino" di dialetto ( "non sputi e non offenda il piatto in cui mangia "), delinea un quadro catastrofico: "Questa norma serve per arginare l'invasione meridionale che taluni ci stanno confezionando (sic) regalando laure (sic) con lode a gente mediocre che poi nei concorsi vincono (sic)". Dal che si evince che il problema sarà pure quello dei terroni che non sanno il dialetto trentino; ma anche quello dei trentini che non conoscono l'italiano!
Alla polemica sul dialetto se ne intreccia un'altra parallela, che trae origine da un'intervista in cui Francesco Moser, rispondendo al giornalista dell'Adige sul perché, qualche anno fa, andò a trovare Licio Gelli, risponde: "Per curiosità. Come se fossi un giornalista, che peraltro lo sono anche " (ahimè, è vero: dal 24 aprile 1990 Moser è ufficialmente pubblicista, con tanto di tesserino). Uno strano giornalista, che precisa: "Io non credo a tutto ciò che scrivono i giornali"; e che confessa, quasi vantandosi: "Ah, no, non sono uno che legge libri." Quindi, rivolgendosi ad Andrea Castelli che su quelle affermazioni aveva trovato da ridire, rilancia: "Ci pensa già lui a leggerne tanti (di libri): io non sono un intellettuale, faccio altre cose. Certo, Castelli, oltre a leggere, scrive, ma molte sono delle cretinate ".
E chiudiamo con Franco Tretter: non per qualche suo intervento in tema di dialetto, ma perché in fatto di stile, buongusto e credibilità, non ha niente da imparare dai signori sopra citati. Orbene "Tretter, il 'rieccolo'", come lo chiama l'Alto Adige, dopo avere per l'ennesima volta giurato di aver chiuso con la politica, pare si stia avviando verso un'altra candidatura. E i giornali, che a quell'impegno non avevano creduto, ora lo sbertucciano: "Le candidature di Tretter nascono così. Chi l'ha mai visto, il padre-padrone del Patt dire al mondo intero 'Scenderò in campo'?... La sua candidatura parte da molto lontano. Forse addirittura da quando, lo scorso anno in giugno, diede una festa di addìo alla politica nella sala di rappresentanza della 'sua' Regione... E' così che si avviano le litanie dei militanti, le preghiere degli amici, gli scongiuri di tutti coloro che gli sono riconoscenti, le suppliche di chi vede in lui un baluardo dell'Autonomia... Ora è necessario avviare le celebrazioni per il plebiscito popolare. Ed è notizia che circola fra le alte sfere autonomiste che in vai di Non e in vai di Sole c'è già chi sta preparando un 'Tretter day', una di quelle feste della base con finale preghiera collettiva a Tretter".