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QT n. 6, 21 marzo 1998 Servizi

Ragazzi incerti e sfiduciati. Per colpa di chi?

Una ricerca sociologica sull'atteggiamento dei giovani nei confronti della pace. Un panorama sconfortante da valutare senza pessimismo.

Al convegno di presentazione della ricerca sociologica sugli atteggiamenti dei giovani nei confronti della pace, sono seduto accanto a due miei studenti. I lavori si preannunciano per loro lunghi e noiosi: il seminario, organizzato dal Forum trentino per la pace, è attività di aggiornamento per gli insegnanti (operazione che non basta, per altro, a richiamare le folle dalle scuole). Ci sono però i militanti pacifisti, e quindi la sala al centro culturale S.Chiara è abbastanza affollata. La ragazza è in ansia: è lì per raccontare, per la prima volta a un pubblico di adulti, l'incontro, interessante, tenutosi a scuola, con gli studenti israeliani e palestinesi.

Dopo poco tempo vedo però i miei due sedicenni estrarre carta e penna, e incominciare a prendere appunti, fitti e continui. Eppure i dati della ricerca condotta fra gli studenti della provincia di Trento, sono colpi pesanti, e le parole dei relatori non addolciscono certo i numeri freddi delle tabelle.

La pace, sostiene Paolo Tomasin, è un valore affermato a parole dai giovani, ma che poi rimane "sospeso", poco praticato nella vita quotidiana.

Sono disinformati: fra i pacifisti hanno sentito parlare di Gandhi e Luther King, ma ignorano don Milani, Capitini, Langer. Ciò che sanno lo apprendono dalla TV e dalla stampa, al massimo in chiesa, ma con gli amici, e nelle associazioni, di guerra e pace parlano pochissimo. Oltre il 60% è favorevole alla pena di morte, anche fra chi si dichiara pacifista, anche fra chi si colloca politicamente a sinistra. L'altro - lo straniero, lo zingaro, l'omosessuale, il tossicodipendente - è vissuto come un pericolo, soprattutto da coloro che hanno un forte senso di appartenenza alla piccola comunità in cui vivono (ma sono i più, rispetto a chi si sente cittadino dell'Italia, dell'Europa, del mondo): il 65% non è d'accordo sul fatto che gli immigrati costituiscono un elemento utile di arricchimento culturale.

Carlo Buzzi presenta "I rapporti lard sui giovani e la partecipazione". Il 50% non partecipa ad associazioni di alcun tipo; chi aderisce lo fa per un bisogno di svago e autorealizzazione personale, mentre sono in crisi grave le associazioni di impegno sociale e politico. La disponibilità a mobilitarsi è in calo, e comunque presente solo su obbiettivi "corporativi" come la scuola e l'ambiente; pace e disarmo ottengono il consenso solo del 7%.

Sono dati che rivelano pessimismo sociale, sfiducia nelle istituzioni politiche e religiose, incertezza sul futuro. Prevalgono il bisogno di sicurezza e di socialità ristretta (il "piccolo" della propria famiglia, dei propri amici, del proprio ragazzo/a), mentre crollano i valori sociali dell'eguaglianza, dell'impegno, della responsabilità: solo il 60% considera un valore la solidarietà.

Perché i miei due studenti continuano imperterriti a riempire i fogli di appunti? Per non dimenticare un quadro così allarmato della loro generazione?

Forse sentono, in quegli adulti che parlano con passione dal tavolo, e in quelli silenziosi e attenti sparsi nella sala, certo preoccupazione e allarme, ma nessun intento accusatorio, anzi interesse nel leggere e ascoltare i questionati dei loro compagni, e franchezza nel commentarli. E la consapevolezza che se la pace cessa di essere per i giovani un importante obbiettivo ideale e funzionale, e si riduce ad assenza di conflitti e a equilibrio interiore, è perché gli ideali sociali non hanno più la forza di coinvolgere nemmeno gli adulti, che insomma l'incertezza riguarda tutti.

E che l'indifferenza è diffusa: famiglia e scuola appaiono luoghi in cui di pace, e dei temi affini, si parla pochissimo.

Con in più, per loro adolescenti, la fatica di diventare "grandi", in un'epoca in cui nessuno conosce il futuro. Abbandonati al ruolo di consumatori, privati di responsabilità, i giovani oggi non ricevono dagli adulti stimoli significativi a "desiderare", per cui sono ridotti in famiglia a litigare, e a scuola a pazientare.

Maria De Benedetti ha interpretato come dovuti all'impossibilità di "guerreggiare legittimamente per cambiare il mondo", all'assenza di una "missione combattiva " che sublimi la guerra interiore costitutiva del giovane, anche i comportamenti disperati dei conflitti etnici, degli stupri, del bullismo a scuola, del nonnismo in caserma, della violenza negli stadi, dei giochi di morte il sabato sera, dei suicidi, delle relazioni sessuali senza precauzioni, fino alle misteriose scritte che imbrattano i muri.

La sociologia fotografa i dati, che mettono per certi versi paura, ma poi c'è la storia: i fatti sono anche nelle nostre mani, e in quelle di questi ragazzi.

Chi si informa, partecipa, è attivo, è certo minoranza (talvolta corposa, però), ma è una risorsa che può crescere e avere influenza sugli altri, anche sugli adulti, se questi avranno il coraggio di lasciarsi educare dai giovani più critici e impegnati. La scuola trentina non fa bella figura in questa ricerca, eppure gli insegnanti restano, secondo il rapporto lard, (con scienziati e forze dell'ordine!) le figure in cui i giovani hanno maggiore fiducia.

Ho chiesto ai miei studenti di IV il loro parere sulla pena di morte, dopo la lettura di Cesare Beccaria (e lo scorso anno del conte Ugolino, di Giordano Bruno, dell'articolo 27 della Costituzione): un quarto rimane favorevole, ma più della metà ritiene importante l'interesse per la politica. E quando recentemente una giovane neolaureata di Levico in psicologia, con una tesi sulla violenza sessuale, al giornalista dell'Alto Adige che le chiedeva la sua posizione politica, rispondeva sicura "non m'interessa",! miei studenti di V hanno definito spaventosa quella risposta.

Non credo che i giovani vadano accarezzati: se quasi l'80% ripone fiducia nell'ONU, e meno del 20% negli uomini politici, va loro brutalmente fatto notare che l'ONU non è costituita di calciatori e cantanti. Senza dimenticare - è stata la notazione più bruciante di Maria De Benedetti - che il sottolineare da parte degli insegnanti gli aspetti negativi, invece che valorizzare i risultati positivi raggiunti, è una violenza sottile che genera sfiducia e rancore.

Giorgia però, al termine del suo intervento sugli studenti palestinesi e israeliani, è stata applaudita, e porterà la sua fiducia a tutti i compagni di classe.

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