La Chiesa di Leone
Papa Francesco, papa Leone: la dipartita, il Conclave, il nuovo papa sono stati amplissimamente trattati dai media nelle scorse settimane, e ne diamo conto nelle pagine interne. Dopo l’accavallarsi di notizie e commenti, a bocce ferme, ci permettiamo di aggiungere la nostra opinione, a fare da personale sintesi delle tantissime già espresse. Un’opinione complessiva, dall’esterno (la redazione è formata soprattutto da non credenti) sulla Chiesa cattolica, il suo stato di salute, il suo ruolo.
Innanzitutto un doveroso riconoscimento. In questi ultimi decenni, la Chiesa romana ha saputo rifuggire da tutte le tentazioni di porsi in contrapposizione con le altre religioni, anche quando parte della politica e della cultura avrebbe preferito il contrario. Sebbene l’ecumenismo di Giovanni XXIII non sia sempre stato pienamente portato avanti, il rifiuto del conflitto, e al contrario l’accoglienza dei diseredati del mondo a prescindere dalla loro religione, è stata una costante, nella predicazione e anche nel concreto operare. E’ un merito storico, in un’epoca segnata dai Trump, dai Salvini con il rosario in mano, dagli integralisti islamici, dai Kirill, dalle sette evangeliche. E la prima cosa fermamente ribadita è stata che nel passaggio da Francesco a Leone questa scelta rimane ben ferma, pur scontando (come riportiamo nel servizio interno) ringhiose aggressività, soprattutto nel mondo americano.
Detto questo, rimane il tema dei temi: qual è il senso della Chiesa nel ventunesimo secolo? Francesco dava una risposta netta, dalle dure conseguenze: è dalla parte dei poveri, dalla parte delle future generazioni e quindi dell’ambiente, è per la sobrietà.
Per Leone tutto questo è troppo poco, e al contempo è troppo. Troppo poco perché il cattolicesimo non è un’agenzia umanitaria o politica, il suo core business non sono gli “ospedali da campo” in cui si identificava Francesco, bensì il soprannaturale. Ecco quindi la polemica con chi fa scomparire Cristo dentro le opere di bene, oppure lo riduce a un superuomo. Ne consegue un rilancio, una nuova centralità, della teologia, a contrapporsi al pragmatismo senza principi del ventunesimo secolo.

Al contempo, però, è Leone stesso a farsi pragmatico. Del lascito francescano rifiuta anzitutto il francescanesimo, l’elogio della povertà, la pratica della sobrietà: dismette l’abito bianco, la croce di legno, la dimora a Santa Marta, e riprende i ricami e gli addobbi in oro, il Palazzo Apostolico all’uopo riarredato. Questo non tanto per vanità personale, ma come messaggio alle alte sfere vaticane, da secoli aduse ai fasti capitolini e poco amichevoli verso chi li vorrebbe limitare o addirittura abolire. In questo senso Leone si configura da subito come il papa del “ritorno all’ordine”. Ma allora, la centralità di Gesù Cristo, dove va a finire? Nelle raffinatissime dissertazioni sulla sua natura divina e/o umana, sul mistero della Trinità, eccetera?
Questo è poi solo il primo arretramento. Il secondo è sull’apertura del sacerdozio agli uomini sposati, alle donne, sulla fine dell’obbligo del celibato. In poche parole tutto l’armamentario fatto di sessuofobia e misoginia che ha caratterizzato nei secoli il cattolicesimo e che ora lo mette in contrapposizione al comune sentire della stragrande maggioranza della popolazione. Un arretramento che a noi sembra esiziale per diversi motivi. Incrementa la crisi delle vocazioni, lascia la porta aperta alle deviazioni sessuali da parte di un personale represso e frustrato, conferma la caduta della fiducia nell’istituzione. Un’istituzione che per di più, governata da anziani anch’essi frustrati, in nome di una inscalfibile “tradizione” si condanna a un disastroso immobilismo. Irriformabile. E difatti la stragrande maggioranza dei commentatori oggi concorda sul fallimento dei propositi riformatori di Francesco causa la feroce opposizione incontrata a diversi livelli. Leone questo fallimento lo eviterà: ha subito fatto capire che tali riforme non le farà proprio, rimane fedele alla “tradizione”.
In tanti hanno apprezzato questo pragmatismo.