Arco, il paradiso dei costruttori
Non ci sono solo i Benko Boys tra i beneficati dalla generosità del Comune verso gli interessi degli immobiliaristi.
La rigenerazione urbana, la sostenibilità, lo sviluppo armonico, i materiali naturali, la ricucitura del tessuto urbano…bisogna proprio dirlo: i pubblici amministratori, nella Busa, abboccano come vergini stolte alle sirene degli imprenditori privati.
Parliamo ancora una volta dei Benko Boys, gli imprenditori Heinz Peter Hager e Paolo Signoretti, ma anche di altri, perché poi vi racconteremo pure di altri imprenditori locali, i signori della COSMI, ovvero i fratelli Miorelli. E, per essere equanimi, parliamo di un’Amministrazione comunale, quella di Arco, che politicamente sta all’opposto di quella rivana (le cui vicende con il team Hager e Signoretti abbiamo diffusamente raccontato da febbraio in poi su QT).
Per cominciare a dipanare la matassa di operazioni immobiliari che al momento pendono sul capo degli arcensi, partiamo da quella che riguarda il vecchio e fatiscente Hotel Arco.
L’immobile, con il suo parco imboschito e le sue piscine derelitte, alle porte del centro storico della città, è il modello standard delle operazioni immobiliari fatte da Hager e Signoretti in varie zone del Basso Trentino: bella posizione, immobile cadente in un contesto degradato, sotto procedura fallimentare. Comprato nel 2019 da Hager e Signoretti per due lire da un fallimento (anche se in questo caso l’acquisto è avvenuto poco prima dell’asta vera e propria e quindi non sappiamo quale sia stato il prezzo, ma l’asta partiva da un milione e 380mila euro) e incartato in un progetto che prevede la ricostruzione con ampliamento dell’albergo, la costruzione di un ristorante in edificio a parte e di tre palazzine di appartamenti di lusso. Il tutto subito sotto il ponte, infilato tra piazza Italia e la riva sinistra del Sarca.
A dire il vero Paolo Signoretti aveva provato già parecchi anni fa a prendere in mano il complesso con un progetto di riqualificazione, ma a quel tempo la Provincia aveva detto niet: allora, in piazza Dante, gli accordi pubblico-privato non erano molto amati. Ai giorni nostri invece le cosiddette “compensazioni” - io pubblico ti concedo qualcosa che la norma urbanistica non consentirebbe, di solito un diritto di edificare, e tu privato in cambio mi dai qualcos'altro - vanno alla grande.
L’accordo pubblico-privato firmato la primavera scorsa dalla giunta del sindaco Alessandro Betta, PD, e ormai in dirittura d’arrivo in Consiglio comunale, di fatto concede ad Hager e Signoretti la costruzione di 2.100 metri quadri di immobili residenziali non previsti nel piano regolatore del Comune (la ricostruzione con ampliamento dell’hotel era invece già nelle norme generali urbanistiche).
In cambio il Comune di Arco ottiene una serie di “lavoretti”: un percorso pedonale lungo l’argine del Sarca, un parchetto pubblico di circa 3.600 mq.con la relativa manutenzione per 25 anni, la riqualificazione di piazza Italia, la riqualificazione di viale Rovereto, la ristrutturazione della fontana di Oltresarca e infine un contributo cash di 200mila euro.
Su questo accordo sbandierato come rigenerazione urbana etc. etc. le sirene hanno cantato in questi ultimi anni con ottimi risultati. Per i costruttori. Anche qui (come a Riva) i conti non tornano. Ma soprattutto, in questo caso, i “lavoretti” che il privato dà in contropartita della concessione edilizia sono un gioco di prestigio.
I conti ve li facciamo tra un po’. Ma se guardiamo da vicino i “lavoretti” generosamente offerti dal privato, vediamo che tutte le riqualificazioni promesse, dalla piazza al viale e fino al parco, sono una complessiva sistemazione della zona che è indispensabile alla riuscita dell’operazione immobiliare che hanno in mente i Benko Boys. Perché se vuoi avere un hotel “boutique” sulla riva del fiume e vendere a caro prezzo degli appartamenti sempre in riva al Sarca, devi costruirgli attorno un contesto adeguato. Il verde attorno è de rigueur, (ed ecco il parchetto pubblico), la strada che costeggia l’hotel deve essere ben sistemata, la piazza antistante deve poter ospitare dei bei localini e non sembrare un’ anonima piazza di passaggio. Il trucco magico sta nel far credere agli amministratori comunali che ci sia della bontà nell’offerta e poi computare i lavori accuratamente (per un totale di circa un milione e 900mila euro) come “compensazione” a quei 2.100 e passa metri quadri che verranno costruiti con una variante apposita al PRG che mai li aveva previsti.
Quanto ai conti della serva, anche ad Arco, come a Riva, sembra che dimentichino sia le leggi che l’aritmetica. I nostri calcoli dicono che Hager e Signoretti, dai 2.100 metri quadri extra PRG, quando li venderanno, ricaveranno un guadagno netto di 6 milioni e 300mila euro. Quel guadagno, dice la legge, deve essere diviso come minimo al 50% tra pubblico e privato. Come minimo vuol dire che non si può andare sotto questa percentuale, ma che, caso per caso, si deve anche salire. E questo sarebbe proprio il caso. Ma noi, per sicurezza, stiamo al minimo.
La metà di 6 milioni e 300 mila euro ci dà 3 milioni e 150 mila euro. Il Comune, secondo l’accordo, riceve un milione e 900 mila euro in varie forme. Però dobbiamo calcolare che almeno la metà di quello che viene dato come compensazione va a vantaggio anche dell’hotel e quindi dovremmo calcolare che la quota destinata al Comune sia di solo 950 mila euro. Il risultato aritmetico è che il Comune di Arco sta regalando ai Benko Boys 2 milioni e 200 mila euro. La Corte dei Conti avrà il suo bel daffare con le operazioni fatte nella Busa. E sarà sempre più occupata se non si prende atto che, verosimilmente, esiste un problema all’origine: il senso di sudditanza delle amministrazioni pubbliche nei confronti di chi ha molto potere economico.
Una sudditanza per la quale si accoglie senza fiatare che la ripianificazione urbanistica di intere zone delle città sia fatta da privati che ovviamente la fanno a proprio uso e consumo.
Ve ne diamo un esempio proprio in questa operazione sull’hotel Arco.
Sotto l’albergo e le palazzine ci sarà un piano interrato con una superficie molto estesa, più o meno il doppio delle costruzioni soprastanti. Come sappiamo, gli interrati sono fuori dal conto dei metri quadri che si possono edificare e quindi i costruttori sono ben felici di fare garage e cantine, ma in questo caso, forse, anche altro, come Spa dell’hotel e locali di servizio. Tutto questo libera spazio pregiato nelle costruzioni soprastanti.
Il progetto presentato da Hager e Signoretti fa arrivare questi sotterranei fino ad un limite che si scontra con l’area di espansione sotterranea del Sarca che si allarga ben oltre le golene per andare a fare cose importanti, come ad esempio ricaricare le falde acquifere profonde. Una barriera di cemento che altera l’equilibrio idraulico del fiume. Questo aspetto poco importa a chi costruisce, ma dovrebbe importare molto a un’amministrazione comunale che dovrà poi gestire gli eventuali problemi creati da questa barriera.
Una sudditanza che, altro esempio, non chiede conto delle promesse sbandierate quando si trattava di far ingoiare il progetto alla popolazione. Come quando nel 2019 Heinz Peter Hager e il suo progettista Beppo Toffolon spergiuravano che accanto all’Hotel Arco sarebbero state costruite case per i residenti. Ma poche settimane fa la richiesta delle minoranze in Consiglio comunale che quegli appartamenti vengano vincolati ad essere “prime case” è stata rigettata. E sappiamo che fine fanno le seconde case nella zona superturistica dell’Alto Garda, anche se magari qualcuno formalmente vi “risiede”.
Per questo parliamo di sirene: c’è la sensazione di un incantamento che prende le amministrazioni locali quando devono trattare con i privati e impedisce che gli interessi della comunità vengano fatti valere.
Voi dite che siamo ingenui? Può essere. Ma perfino un’ipotesi più maliziosa (di cui non abbiamo alcun indizio al momento) non potrebbe esistere senza un dato culturale di fondo: la pochezza istituzionale e politica delle amministrazioni, la loro mancanza di coraggio istituzionale e capacità di visione del nostro futuro. Questo è il vero ventre molle che rende, trasversalmente, le amministrazioni pubbliche così permeabili agli interessi dei privati. Questo dato culturale non riguarda certamente solo la Busa: è un vizio diffuso in Italia quello di svendere l’interesse pubblico per poco. L’ultimo esempio di una lunga serie è la recente svendita della rete telefonica nazionale a un fondo americano per molto meno del suo vero valore.
L'ex Argentina
Ma se il vizio è comune, va detto che ad Arco si sono superati. Parliamo del cosiddetto ex Argentina. Un ex albergo/sanatorio storico per cui, nel primo decennio del nostro secolo, l’allora amministrazione comunale aveva concesso una ristrutturazione radicale proposta dagli arcensi fratelli Miorelli con la loro impresa di costruzioni Cosmi.
Del complesso originale, situato proprio in cima al centro storico, giusto sotto il castello e l’Olivaia, la Cosmi ha fatto carne di porco: appartamenti di lusso per turisti conglobati in un bloccone di cemento che della grazia dell’edificio storico e del suo parco non hanno lasciato nemmeno la morfologia dell’area.
La storia completa è una vera via crucis amministrativa e giudiziaria. Errori nella concessione edilizia, prescrizioni non rispettate, volumi edilizi che si sono gonfiati in fase di costruzione. Poi ricorsi alla magistratura, perizie con dibattito su cos’è un volume fuori terra.
La vicenda si è chiusa dopo dieci anni, a metà 2021, con una sentenza della Cassazione. I dettagli richiederebbero varie pagine di giornale, ma la sostanza è che nel complesso Olivenheim (come è stato chiamato) sono stati costruiti all’incirca 4.800 metri cubi in più (una superficie di circa 1.500 metri quadri) rispetto alla concessione edilizia. Ma la Cassazione non ne impone l’abbattimento. Perché cosa fatta capo ha e i metri cubi in più sono nei piani terra. E nessuno se la sente di aprire il vaso di Pandora di case che nel frattempo sono state comprate in buona fede da ignari proprietari.
A questo punto però il minimo sindacale, ma proprio il minimo, richiederebbe che il Comune si attivi per sanzionare l’abuso edilizio e magari chiedere anche gli oneri urbanistici relativi.
La sentenza diventa esecutiva in autunno del 2021. Da allora niente è stato fatto per sanzionare e ottenere perlomeno un po’ di soldi (misero compenso per l’ecomostro che è stato costruito) in cambio di un valore edilizio considerevole.
Il vostro cuore rispettoso delle leggi e dell’ambiente è rattristato da questa vicenda? Aspettate di vedere come va avanti la storia. Finita la via crucis giudiziaria, i fratelli Miorelli tornano alla carica in Comune. Dentro la proprietà originaria dell’Argentina c’era un rudere, incastrato tra la strada che sale verso l’Olivaia e la roccia. Lo chiamano il Calvario. Mai nome fu più adatto.
Quel vecchio rudere, tre piani di sassi e finestre bucate, col tetto collassato, ha un volume di circa 3.600 metri cubi. Era parte, in origine, delle cubature che potevano venir ricostruite. Ma non fu mai toccato, anche per via dei numerosi stop giudiziari imposti in parte anche alla costruzione principale.
Tenete sempre presente che i fratelli Miorelli hanno costruito già 4.800 metri cubi in più rispetto al totale delle cubature concesse in origine.
Ma il problema del Calvario va risolto. E allora ecco spuntare un bell’accordo pubblico-privato. Peraltro al momento deliberato dalla giunta, ma a quanto pare non ancora firmato dai proprietari della Cosmi.
Un accordo che sembra un film horror. Siccome il Calvario va demolito (pericolante e pericoloso), siccome non ci si può incastrare niente vista la posizione e siccome lì ci sono 1.300 metri quadri di superficie che erano parte della ricostruzione originale, si concorda che quei 1.300 metri quadri in area superpregiata di Arco vengano demoliti a spese dei fratelli Miorelli (spesa calcolata sul prezziario edilizio provinciale circa 40 mila euro), che ne facciano una piccolissima area verde e ricostruiscano il marciapiede antistante. In cambio gli concediamo di costruire in via Venezia, dove Cosmi è proprietaria di un bel prato verde. Che per il PRG tale dovrebbe rimanere. E gli diamo anche dei metri quadri in più, circa 2.000, perché l’area è meno pregiata di quella dove sta il Calvario.
Ma come, direte voi, non avevano già costruito anche oltre tutto quello che gli era stato concesso in origine? Esatto.
Su questa vicenda, dobbiamo ammetterlo, non siamo più sicuri che basti la nostra teoria delle sirene che cantano e imbambolano gli amministratori pubblici.