Glifosato? Basta!
La Commissione Europea vuole prolungare l’autorizzazione per l’uso del glifosato per altri dieci anni. Organizzazioni ambientaliste e associazioni dei consumatori ne chiedono invece il divieto.
La decisione ora spetta ai singoli Stati. Entro il prossimo 15 dicembre l’UE deve decidere in merito al rilascio di una nuova autorizzazione oppure in merito al divieto dell’uso del glifosato. In tale data scade infatti l’autorizzazione attualmente in corso.
A luglio di quest’anno l’EFSA (l’Agenzia europea per la sicurezza alimentare) era giunta alla conclusione che l’impiego del gliofosato non presentasse “alcuna area di preoccupazione critica”, anche se la stessa EFSA ha ammesso che la tossicità ambientale del glifosato e il rischio per i mammiferi non possano essere valutati in modo definitivo a causa della mancanza di dati.
A seguito di ciò la Commissione ha presentato, lo scorso 20 settembre, una bozza di proposta per la ri-autorizzazione del glifosato. In tal modo, il diserbante potrebbe continuare ad essere utilizzato in Europa per altri 10 anni, cioè fino a dicembre del 2033. Questo nonostante l’impiego di pesticidi, anche di quelli pericolosi, dovrebbe venir dimezzato entro il 2030, secondo quanto prevede il programma strategico “Farm-to-fork” della stessa Commissione.
Gli Stati membri dell'UE voteranno sulla proposta della Commissione UE in seno al Comitato permanente per le piante, gli animali, gli alimenti e i mangimi il 12 o il 13 ottobre prossimi e avranno anche la possibilità di respingerla. Nel caso in cui non si trovasse una maggioranza qualificata, a favore o contro la proposta, sarà la stessa Commissione Europea a decidere in merito alla proroga dell’autorizzazione. Tra l'altro, secondo l'accordo di coalizione, la Germania vuole attuare un divieto sul glifosato a partire dal 2024. Il governo italiano non ha ancora preso posizione sulla questione della ri-autorizzazione.
Dall’introduzione, nel lontano 1974, dell’erbicida a base di glifosato “Roundup” dell’americana Monsanto (oggi, Bayer), il glifosato è ancora oggi la sostanza pesticida più venduta e più utilizzata al mondo. Come erbicida totale, uccide ogni pianta verde che non sia resistente o che non sia stata geneticamente modificata.
Il glifosato viene utilizzato su larga scala nella coltivazione di colture geneticamente modificate resistenti agli erbicidi (soia GM, mais GM, colza GM, cotone GM). Inoltre, viene spesso applicato prima del raccolto delle colture (ad esempio, di patate e grano) per facilitare la raccolta, uccidendo le parti verdi della pianta o facendo maturare le spighe allo stesso tempo.
ll glifosato viene utilizzato anche per eliminare le erbacce prima della semina, nella frutticoltura, nella coltivazione di alberi di Natale, per controllare le erbacce negli spazi pubblici verdi e, non ultimo, nei giardini domestici.
Negli ultimi anni, singoli Paesi e comuni hanno parzialmente limitato l'uso del glifosato. Esso è tuttavia onnipresente e inquina fiumi, laghi e falde acquifere, danneggia il suolo e minaccia la diversità delle piante - e quindi indirettamente anche insetti e altri animali. L’uso indiscriminato della sostanza ha inoltre condotto allo sviluppo di “super-erbacce”, resistenti alla stessa. A seguito del suo ampio utilizzo, non è quindi sorprendente che esso sia presente anche negli alimenti e nel corpo umano.
Più o meno elevati residui di glifosato negli alimenti sono stati confermati da numerose analisi, uguale che si tratti di grano duro, legumi, pasta, birra, cereali per la prima colazione, miele o alimenti per l'infanzia. I consumatori vengono quindi in contatto col glifosato, in primo luogo attraverso i suoi residui presenti negli alimenti. Il glifosato e i suoi prodotti di degradazione sono stati rinvenuti nel sangue e nelle urine di molte persone. Vi è quindi da temere che la sostanza possa transitare dal corpo della madre a quello del feto e che possa quindi produrre effetti dannosi sulla salute di quest’ultimo, anche a lungo termine.
Il glifosato è sospettato di danneggiare il materiale genetico, di provocare il cancro, di influenzare il sistema ormonale e di essere tossico per il fegato, i reni e il sistema nervoso. Il glifosato è stato anche collegato a malattie neurodegenerative, quali il Parkinson e il morbo di Alzheimer.
Meno conosciuto degli effetti citati è invece l’effetto antibiotico del glifosato e dei suoi prodotti di degradazione sul microbiota, cioè l’insieme di batteri, funghi e altri microrganismi presenti nell’intestino umano e nel suolo. Oltre il 26% dei batteri presenti nell’intestino umano reagisce sensibilmente al glifosato, influendo sulla flora intestinale. L’aggiunta di glifosato e dei suoi prodotti di scarto nei terreni provoca un cambiamento massivo della comunità di microrganismi presenti nel suolo: mentre molti microrganismi benefici vengono uccisi, quelli dannosi e patogeni prendono il sopravvento e sviluppano resistenza al glifosato e resistenza incrociata ad altri antibiotici, con conseguenze negative per la fertilità del suolo e per la resistenza delle piante alle malattie.
Un numero ancora maggiore di residui di glifosato e di batteri resistenti agli antibiotici entra nel suolo attraverso i mangimi, il tratto digestivo degli animali da allevamento e la concimazione del letame.
Già nel 2017 oltre un milione di cittadini europei, attraverso l’iniziativa “Stop Glifosato”, aveva chiesto di vietare l’uso del glifosato. Nonostante ciò, l’autorizzazione all’uso di questa sostanza venne prolungata di altri cinque anni.