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QT n. 12, dicembre 2021 Trentagiorni

Parte civile: il NI della giunta provinciale

Ci siamo lasciati nel numero di novembre con l'interrogativo relativo alle intenzioni della Giunta provinciale in merito alla sua eventuale costituzione di parte civile nel processo “Perfido”, la cui apertura è prevista peril 13 gennaio in Corte d'Assise a Trento.Abbiamo ricordato che il Consiglio provinciale, su iniziativa del consigliere Alex Marini, aveva approvato il 4 dicembre dell'anno scorso un ordine del giorno con il quale si impegnava la Giunta a “valutare l'esistenza dei presupposti” per una costituzione di parte civile, dandone comunicazione all'assemblea consiliare entro due mesi.

Passati i dieci mesi, però, nulla è stato riferito dalla Giunta e quindi il consigliere del M5stelle è stato costretto a presentare, il 4 ottobre, un'interrogazione per richiamare la Giunta Fugatti al rispetto dei tempi e degli impegni. Interrogazione nella quale si sottolineava come “nel caso specifico, proprio a causa della natura del procedimento e dell'inchiesta sottostante e quindi di tutto il portato di possibili contatti fra il mondo della criminalità organizzata e quello politico/istituzionale della Provincia Autonoma di Trento, appare grave che la giunta provinciale abbia ritenuto di disattendere l'impegno cui l'aveva chiamata il Consiglio provinciale”.

Così finalmente l'assessore allo Sviluppo Economico Achille Spinelli ha comunicato, in data 16 novembre, che “le strutture provinciali sono state tempestivamente allertate sulla questione” affermando tuttavia che, “allo scrivente non risultano ancora definite le imputazioni a carico degli indagati” e quindi “appare prematuro qualsiasi ragionamento”. In conclusione egli rammenta che “non sempre l'ammissibilità della costituzione di parte civile dell'ente territoriale è scontata rispetto alla immediata causalità fra reato e lesione subita dall'ente pubblico”.

Certo che pare un po' poco come valutazione da parte delle “strutture provinciali”, anche perché le imputazioni sono pubbliche, qualche cosa hanno scritto pure i giornali, ma evidentemente quelle notizie sono sfuggite all'assessore e ai funzionari “tempestivamente allertati” eppure ben guardatisi dall'accedere agli atti giudiziari.

Dunque provvediamo noi a rinfrescare la memoria, o meglio ad aggiornare chi governa, forse un po' distrattamente, questa provincia autonoma.

A processo in Corte d'Assise sono state rinviate 18 persone e la richiesta da parte della Procura di Trento risale al 10 aprile scorso, mentre il decreto di giudizio immediato risale al 14 aprile, rettificato e finalmente reso operativo il 23 agosto. Questo stabiliscono gli atti che i funzionari “allertati” possono facilmente richiedere al Tribunale distante 800 metri dai palazzi provinciali. Atti peraltro di cui, pur se in modo contenuto, avevano dato notizia giornali e tv, precisando inoltre che ulteriori imputati sarebbero stati chiamati a rispondere di reati connessi in un altro procedimento con rito ordinario.

Coloro che si presenteranno in Corte d'Assise dovranno rispondere dei capi di imputazione previsti agli articoli 110 e 416 bis, commi 1, 2, 3, 4, 5, e 6 del c.p. “perché si associavano tra loro costituendo una propaggine organizzativa (locale) di tipo mafioso ‘ndranghetista con riferimento alle cosche calabresi di provenienza Serraino, Iamonte e Paviglianiti stanziali nei paesi di Cardeto, Bagaladi, Melito Porto Salvo e Reggio Calabria”. Quindi associazione di stampo mafioso.

Inoltre essi sono chiamati a rispondere dei delitti previsti agli articoli 81 cpv., 110 e 600 c.p. “per avere, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, ridotto o mantenuto i lavoratori sotto indicati in uno stato di soggezione continuativo, costringendoli a prestazioni lavorative che ne hanno comportato lo sfruttamento”.

“In particolare – si legge nel decreto del GIP - commettendo il fatto con condotta attuata mediante violenza, minaccia, inganno, abuso di autorità e approfittamento di una situazione di vulnerabilità e di una situazione di necessità”.

Trattasi, nella sostanza, del reato di riduzione in schiavitù!

Nell'elenco dei “lavoratori sotto indicati” e riconosciuti quali parti offese compaiono i nomi di 9 operai cinesi, 2 operai marocchini, un operaio albanese e un operaio macedone; forse il fatto che non ci siano trentini giustifica l'inazione e il silenzio delle nostre istituzioni?

Ricordiamo soltanto che dal 2012 al 2015 nel settore del porfido anche molti lavoratori italiani hanno subito ricatti e sono rimasti mesi senza paga, avendo molte ditte approfittato del clima intimidatorio che regnava fra le cave.

Rammentiamo sommessamente anche che le cave di porfido, dove i presunti ‘ndranghetisti operavano, sono per la maggior parte patrimonio della comunità, essendo di proprietà dei Comuni o delle Asuc, e questo avrebbe reso doverosa la costituzione di parte civile non solo della Provincia ma anche di tutti i Comuni della zona.