Una generazione sbagliata
“Chi è il Presidente del Consiglio?” la domanda. Dopo qualche secondo di imbarazzo, la risposta, esitante: “Mattarella...?” Sì, questa generazione di giovani non si interessa di politica, dicevo a me stesso.
Ho tenuto in questi giorni dei colloqui di selezione per un anno di studio all'estero per studenti del terzo anno di superiori, con l'associazione Intercultura. Ragazzi svegli, motivati, parecchi con voti buoni se non ottimi: politica, zero, al massimo il nome di Draghi. Ma anche con la storia: a una ragazza chiedo di parlarmi dell'Impero romano e lei annaspa, spiccica Sarco Romano Impero e non ha nessuna idea di che differenza ci sia. Rinascimento? Mah... Fascismo? Nebbia.
Poi, quando gli dico che all'estero queste cose bisogna saperle, dovrai parlarne, te le chiedono, non puoi cascare dal pero... si dichiarano d'accordo, dicono che vogliono recuperare, chiedono consigli su cosa leggere, propongono addirittura che io gli dia qualche lezione, ma non solo per non fare figuracce con gli stranieri, ma perché si, sono cose che bisogna, assolutamente, sapere.
Atto secondo: con i giovani (trentenni) impegnati a sinistra, con cui discutiamo dell'Appello di Dellai e Piccoli (vedi a pagina 12). Ragazzi intelligenti, idealisti, operativi in istituzioni di base e realtà politiche e sociali, i rudimenti della politica li conoscono e li praticano. Quando gli parliamo dei quindici anni di governo dellaiano, del doroteismo, della cooperazione di Diego Schelfi, all'improvviso paiono persi. Nulla sanno, la storia recentissima è un buco nero, il presente sgorga dal nulla. Capiscono quanto sia grave, se ne rammaricano, anche loro chiedono come possono recuperare, chi mai gli può insegnare.
Allora è colpa nostra. Di una generazione che non ha saputo trasmettere, condividere cultura. Cosa sia la società, come si è creato il nostro vivere sociale, attraverso quali vicende.
Come mai? Ce lo spiega un ministro (Roberto Cingolani, alla Transizione ecologica, figuriamoci quale transizione) che sentenzia: “A scuola, invece di far studiare quattro volte le guerre puniche, incominciamo ad impartire una formazione più avanzata, a partire dal digitale...”
A parte che le guerre puniche si studiano due volte, ad età molto diverse, è la creazione di una contrapposizione tra formazione culturale e professionalità tecniche ad essere rivelatrice. La cultura è un orpello, la base, il fondamento, è la tecnica, anzi l'economia. Questo è l'approdo a cui abbiamo portato la società.
Poi non ci si potrà però lamentare se una parte della popolazione si lascia abbindolare da imbonitori ed arruffapopoli, se la politica diventa fragile e la democrazia faticosa.
Non tutto però va male. Le reazioni estremamente positive dei giovani che abbiamo incontrato, ma che si riscontrano in tante altre situazioni, ci dicono che la partita è ancora aperta. Questa richiesta di più conoscenza, di maggiori strumenti culturali, è una cosa preziosa. Probabilmente la scuola (a iniziare proprio dall'insegnamento della storia) non sa rispondere adeguatamente, di sicuro non lo fanno i partiti.
Però non è una questione di organizzazione, ma di priorità. E' la cultura, è la formazione un principio primario nella nostra società? Non parrebbe.
Ricordiamo che Romano Prodi, durante la campagna elettorale del 2006, alla domanda sui tre primi punti del programma di governo, rispose: “Primo: scuola. Secondo: scuola. Terzo: scuola”. Poi, alla prova dei fatti, fu tutt'altro. Non tanto e non solo per responsabilità sua, ma perché come generazione siamo stati sedotti dalla convinzione che se facciamo girare i soldi, tutto il resto va a posto. E non è così.
La generazione sbagliata, forse, non è l'attuale, ma la nostra.