Quando la cultura disturba
Le vicende legate al recente non indolore pensionamento della direttrice Primerano meritano ulteriori considerazioni, che toccano lo stato delle nostre istituzioni culturali.
Partiamo da un dato storico: la vicenda del Simonino, con la conseguente strage degli ebrei trentini, dovrebbe essere una macchia indelebile nella nostra storia. Dovrebbe, perché purtroppo in Italia si preferisce occultare prima ed ignorare poi le proprie più vergognose colpe, e rivestirsi invece dei panni dell'”italiano (e trentino) brava gente”. Così è stato per il Simonino, il cui disdicevole culto è andato avanti per secoli, fomentando un locale antisemitismo, latente a livello popolare, esplicito in alcuni rappresentanti fascistoidi.
In questo quadro, pur tardivamente, bene fece la Chiesa trentina e specificatamente mons. Iginio Rogger, a chiarire definitivamente la realtà storica dei fatti, ripudiando e annullando il culto del bambino martirizzato dai perfidi ebrei (“La Chiesa trentina dal Simonino a Ratzinger” su QT del 6 maggio 2006). E benissimo ha fatto Domenica Primerano ad allestire (e l'arcivescovo Lauro Tisi ad avallare) la mostra “L'invenzione del colpevole” sul feroce antisemitismo creato da false notizie volutamente artefatte. Mostra non a caso apprezzata e premiata a livello internazionale. Di qui la proposta di Primerano, di istituzionalizzare la mostra, spostandola proprio nella cappella a suo tempo adibita al culto del Simonino.
Inizialmente accettato, il progetto è stato poi criticato da alcuni laici (tra cui degli ebrei, comprensibilmente molto sensibili al tema) che paventano il pericolo di una ripresa magari sotterranea del culto del Simonino (vedi “Il Simonino revisionato” su QT del 24 marzo 2007) nell'antica cappella, a ciò vocata. Preoccupazioni eccessive? Forse; però teniamo presente che ci sono già stati perfino interventi in consiglio comunale di un esponente fascista in favore della riproposizione del culto in chiave antisemita (vedi “Il consigliere Coradello e l'autopsia del Simonino” su QT del 6 maggio 2006). Comunque si poteva ovviare: attraverso una stretta sorveglianza e una limitazione degli orari di apertura. Oppure la mostra la si poteva consolidare, ma in un altro luogo. Invece l'arcivescovo azzera tutto il progetto: la mostra smobilitata, scompare. Perché? Forse perché la mostra, giocoforza molto critica con la Chiesa trentina del tempo, dà fastidio alla Chiesa di oggi? E quindi l'arcivescovo ha preso la palla al balzo del dissenso dei laici per disfarsi della ricerca della Primerano, evidentemente ingombrante? Sta di fatto che Lauro Tisi non difende la mostra, la direttrice se ne lamenta, e rassegna le dimissioni. L'arcivescovo incassa l'abbandono guardandosi bene dal tentare di fermarlo. Come se nulla gli importasse della dipartita di chi ha trasformato un anonimo museo diocesano come tanti altri in Italia, in un luogo di riflessione e un'attrattiva vera nel centro della città, legata all'arte sacra e alla storia della chiesa trentina. Che senso c'è in tutto questo? Dobbiamo per forza pensare male? Cioè che proprio le caratteristiche di ricerca indipendente, per di più con approdi incontrollabili, dell'istituzione diretta da Primerano, dessero ormai fastidio? Proprio questi cattivi pensieri sembrano confermati dagli sviluppi successivi. Infatti a sostituire Primerano viene chiamato il prof. Michele Andreaus. Che è un'ottima persona, anche amico di QT, è un docente universitario, ma non di Storia o di Storia dell'Arte, bensì di Economia Aziendale.
C'è stato chi sui giornali ha cercato di salvare capra e cavoli parlando di un disavanzo consistente, di 400.000 euro creato da Primerano, e quindi della necessità di commissariare l'istituzione affidandola a chi sappia far quadrare i conti. Interpretazione duramente contestata due giorni dopo dalla stessa Primerano, che ha elencato gli organismi che nel Museo già attualmente presiedono all'approvazione e revisione delle spese, ricordando inoltre come il disavanzo, peraltro in era Covid e con in più i costi di una ristrutturazione, sia stato di 155.000 euro, non di 400.000.
Ma a parte queste pur illuminanti precisazioni, il punto vero è la logica dietro alla nomina di Andreaus: rientra in una sottocultura oggi di moda, che porta a un'abnorme dilatazione della sfera economica, che dovrebbe vigilare e se del caso porre veti, non certo farsi lei promotrice dell'attività culturale. Sembra insomma che il leghismo straccione abbia contagiato anche il palazzo vescovile.
Abbiamo intanto assistito al siluramento al Museo degli Usi e Costumi del direttore Giovanni Kezich, studioso e antropologo di chiara fama, rimpiazzato con un consulente aziendale; alla rimozione dalla Fondazione Mach del docente di Politica agraria internazionale Andrea Segrè sostituito con un commercialista; all'assenza al Mart di un direttore artistico, tanto le linee generalissime le dà Sgarbi e al resto pensa il personale amministrativo. E ora ci dispiace per il buon Andreaus, ma anche a Piazza Fiera hanno scoperto che la cultura dà fastidio: meglio rimpiazzarla con la più neutra partita doppia.