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“Giovanni Boldini. Il Piacere”

L’ottimismo e il fascino della Belle Epque. Rovereto, Mart, fino al 5 aprile.

Vladimiro Sternini
Giovanni Boldini, ?Signora in rosa (1916).

Più che “Il piacere”, avrebbe dovuto chiamarsi “Il travaglio”: la data d’apertura era stata fissata per il 14 novembre, ma la mostra ha aperto i battenti solo per un brevissimo periodo successivo alle vacanze natalizie, per poi richiudere con il passaggio del Trentino in zona arancione. Attraverso il web il Mart ha provato e sta provando a mantenere un contatto con il pubblico in modo diverso, scandito da visite guidate virtuali e approfondimenti con i curatori; tuttavia il contatto diretto con le opere rimane un’esperienza unica e certamente insostituibile.

La speranza è dunque che la mostra possa riaprire prima della sua chiusura fissata per il 5 aprile, anche perché decisamente coinvolgente: un tuffo nel fascino spensierato ed ottimista della Belle Époque, attraverso l’opera del più grande ritrattista del tempo, Giovanni Boldini.

Il percorso presenta ben 170 opere, provenienti da collezioni private e pubbliche, su tutte quella del Museo Boldini di Ferrara, rimasto chiuso al pubblico dopo il terremoto del 2012. Complessivamente tali lavori restituiscono l’intensità del percorso artistico boldiniano, fin dagli esordi ferraresi, influenzati dai modi di Gaetano e Girolamo Domenichini, nonché dalle magiche suggestioni offerte dagli affreschi di Palazzo Schifanoia. L’ambiente provinciale ferrarese, documentato da lavori come “Autoritratto giovanile” (1856) o “Il cortile della casa paterna” (1855), inizia però a stare stretto a Boldini, che nel 1864 si trasferisce in una Firenze ancora pienamente immersa nel clima risorgimentale. Qui segue all’Accademia di Belle Arti i corsi di Stefano Ussi ed Enrico Pollastrini, frequentando parallelamente la vivacità del Caffè Michelangelo ove erano di casa i Macchiaioli, artisti che infondono in lui un gusto particolare per le ricerche luministiche chiaroscurali, sviluppate pienamente negli anni successivi. Telemaco Signorini, Vito D’Ancona, Cristiano Banti e Giovanni Fattori sono i suoi principali punti di riferimento di questi anni, assieme a Marcellin Desboutin, la cui villa era un avamposto della pittura francese in Italia. Risalgono agli anni fiorentini opere come “Al pianoforte” (1867), “Diego Martelli” (1865), “Nello studio del pittore” (1869) e “Il pittore Banti con il berretto scozzese” (1885), tutte esemplificative del periodo.

Instancabile viaggiatore, Boldini soggiorna prima in Costa Azzurra e poi a Londra, ove i suoi ritratti su commissione riscuotono un vasto successo.

Al 1871 risale il trasferimento nella cosmopolita Parigi, brulicante di vita e di café chantant, città che lo seduce al punto da spingerlo a stabilirvisi definitivamente. Si lega per poco più di un lustro al mercante d’arte Adolphe Goupil, sviluppando in particolar modo il genere della pittura d’interni attraverso dipinti di modeste dimensioni, caratterizzati da un realismo filtrato da effetti vaporosi e sfumati.

Pur non disdegnando il fascino per la mondanità salottiera e per la flânerie, condiviso con artisti a lui vicini quali Courbet, Manet e Degas, Boldini intensifica la sua produzione prediligendo negli anni successivi la ritrattistica, soprattutto femminile, tant’è che i cronisti dell’epoca scrivono di donne vestite “alla Boldini” e di “canoni della bellezza boldiniana”. I suoi ritratti, eseguiti perlopiù a pastello su tela, tecnica nella quale si specializza, diventano un must per l’alta borghesia e la nobiltà parigina: la classica compostezza della posa viene sovvertita da un accentuato dinamismo vibrante di luce, che coinvolge la stessa tecnica pittorica, costruita su un ritmo incalzante ed emotivo di pennellate e colpi di luce, come nel caso di opere emblematiche quali “L’attesa” (1878) o “Giovane donna in déshabillé” (1880).

A partire dalla fine degli anni ‘80 Boldini si dedica soprattutto a ritratti a grandezza naturale, rinnovando costantemente il proprio stile, sempre più teso a pennellate lunghe e vibranti, vere sciabolate di colore che danno l’impressione di un’immagine in movimento, del fotogramma dinamico, del divenire di un gesto, come ben esemplificano “Fuoco d’artificio” (1890) e “Ritratto di danzatrice” (1900). I tagli fotografici di alcune di queste opere paiono ispirati alla lezione dell’amico Degas, col quale nel 1889 visita la Spagna e il Marocco. La seduzione del viaggio, per altro, rimarrà una sua costante: nel 1897 è a New York, nel 1901 a Palermo e successivamente, pur avendo perso quasi completamente la vista, soggiorna nuovamente a Londra e poi a Nizza, per tornare infine nell’amata Parigi fino alla morte, avvenuta nel 1931.

La successione cronologica delle opere in mostra è intervallata da alcuni approfondimenti, come quello dedicato a Gabriele d’Annunzio, idealmente legato al pittore ferrarese oltre che dalla frequentazione di caffè e salotti letterari, anche da una comune musa ispiratrice, la “Divina Marchesa” Luisa Casati, donna colta e trasgressiva, eletta ad emblema dell’eleganza e dell’eccentricità della Belle Époque, ritratta da Boldini in una magistrale opera del 1911-1913.

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