Quale futuro per il Bondone?
In questi giorni il Bondone, come posso ammirarlo dalle finestre di casa, offre uno spettacolo splendido.
È per noi Trentini davvero una fortuna ritrovare proprio alle nostre soglie tante splendide montagne, un immenso e vario patrimonio naturale. Mi chiedo ora: che futuro vogliamo per il nostro Bondone?
Con l’avvio della nuova amministrazione comunale trentina tornano progetti e programmi. Torna anche puntualmente il termine “rilancio”, quasi che la montagna fosse un grande malato in attesa di straordinari programmi e soprattutto di una forte iniezione di capitali, non importa se privati o pubblici. L’esperienza di anni ci dice comunque che la seconda ipotesi è la più probabile.
Pescando fra i miei ritagli, mi sembra che le dichiarazioni rilasciate ai primi di ottobre dal dott. Sergio Costa, presidente uscente della Pro Loco di Trento, esprimano puntualmente la vecchia mentalità. Grande funivia e nuovo bacino di innevamento costituiscono il cardine del futuro della montagna, naturalmente puntando sempre sul turismo invernale. E proprio sulla possibile collocazione del nuovo bacino, che si vuole fuori dalla piana delle Viote, si sta avviando un confronto fra la nuova amministrazione e le categorie interessate.
Certamente la grande funivia – per non parlare del bacino – sarebbe esattamente un dono del cielo; mi ritrovo un costo stimato di circa 60 milioni di euro, con in più 2 milioni all’anno per la gestione. Si troverà il privato, e a quali condizioni, oppure interverrà il solito Pantalone? Questo dilemma non mi fa dormire.
Forse ci sono a nostra disposizione delle altre strade, forse meno costose. Si potrebbe, ad esempio, recuperare e mettere a frutto quanto di valido, e anche di prezioso, se ne sta malinconicamente abbandonato al degrado; ad esempio, le casermette, l’hotel Panorama, la colonia Degasperi a Candriai. Anche qualche intervento a Vaneze non sarebbe fuori luogo.
Per nostra fortuna il Bondone non è solo sci, e ci arriva pure qualche buona notizia. Tra le quali il completamento, da parte dell’Azienda Forestale, dei lavori di riqualificazione dell’area boschiva Bazzaèr in quel di Sardagna. Nell’occasione sono state messe a dimora circa 30 nuove piante di castagno, predisponendo percorsi pedonali e aree di sosta. Questa azione si inquadra bene nell’opera di recupero e valorizzazione della coltura del castagno, che da qualche anno la Circoscrizione di Sardagna sta promuovendo.
Si dimentica troppo facilmente che Sardagna, Cadine e Sopramonte fanno parte a pieno diritto del Bondone e che un tempo l’economia agricolo-forestale era la base della vita di quelle comunità. Con il dopoguerra e con la fuga dalle campagne quell’economia è andata in gran parte perduta, così che Sardagna, Cadine e Sopramonte si sono ridotti a melanconici dormitori a servizio della città.
Esiste la possibilità di un ritorno significativo dell’agricoltura sul Bondone? Certamente non di sole castagne dovrebbe trattarsi, ma anche di altra frutta, di altra verdura, di altri prodotti. L’apporto di forze giovani e preparate sarebbe fondamentale, così come l’immediata vicinanza della città potrebbe essere l’occasione per l’avvio di una agricoltura biologica, diversificata e a chilometri zero. Penso a prodotti di alta qualità, di origine rigorosamente controllata e in grado di trovare un posto d’onore sul mercato di Trento. Sul Bondone esiste già del resto un esempio di agricoltura qualificata, volta al contempo alla valorizzazione dell’ambiente e del paesaggio: i terrazzamenti della Val di Gresta, grazie all’impegno della comunità di Ronzo Chienis e del comune di Mori, sono entrati recentemente a far parte del Registro Nazionale dei paesaggi rurali storici.
Certamente i risultati esigono chiarezza di visione e impegno non breve. Sforziamoci di guardare un poco lontano: ne ricaveremo un buon frutto.