Prescrizione: un falso problema
Il vero problema è l’insufficienza di personale e di fondi
Certe azioni la legge non le permette, per salvaguardare gli interessi e i beni che vi corrispondono: queste azioni si chiamano “illeciti”. A seconda dell’interesse protetto, gli illeciti si distinguono in reati, illeciti civili, illeciti amministrativi. Semplificando nei limiti del consentito, si può dire che i reati colpiscono l’interesse pubblico, quello della Repubblica; l’omicidio, ad esempio, distrugge il bene della vita, che è il primo fra tutti e appartiene a tutti.
Gli illeciti civili colpiscono invece i beni delle singole persone, i loro interessi privati; tali sono il mancato pagamento di un debito, l’invasione di un campo, il danneggiamento di un veicolo in uno scontro.
Gli illeciti amministrativi, infine, offendono la Pubblica Amministrazione disobbedendo ai suoi ordini, come succede per una sosta vietata.
Nella stessa azione possono coesistere differenti illeciti: un omicidio stradale infrange il primario interesse pubblico alla conservazione della vita umana, danneggia l’ucciso e i suoi congiunti, può comportare la violazione del limite di velocità, se commesso per mezzo di un’automobile a 200 chilometri all’ora.
Un avvertimento, per inciso. Da qualche tempo si sente ripetere l’espressione “reato penale”; è un’improprietà che crea confusione. Come dire “mucca animale”. Non esiste una mucca vegetale o minerale, la mucca è sempre solo animale. Allo stesso modo non esistono reati civili o amministrativi, il reato è sempre e solo penale.
Ad ogni tipo di illecito corrispondono per legge dei tipi di sanzione. Il reato è punito con la pena, per esempio la reclusione; all’illecito civile corrisponde la condanna ad adempiere, ad esempio pagare il debito, e/o a risarcire il danno con una somma di denaro; all’illecito amministrativo consegue quella che, alla buona, chiamiamo multa.
La storia, l’esperienza e il buon senso suggeriscono che nulla dura in eterno, nemmeno gli illeciti. Li consuma il tempo, a mano a mano che si consuma il corrispondente interesse o bene. Cosicché nessuno, purché ragioni, pretende di punire un furto commesso ai tempi di Francesco Giuseppe, di riscuotere il prezzo di un sacco di patate venduto nel dopoguerra, di esigere 30 euro per la sosta vietata di trent’anni fa. Occorre perciò mettersi d’accordo su qual è la ragionevole durata di ogni tipo di illecito e dei suoi effetti, affinché anche per il diritto abbia fine ciò di cui nella realtà non interessa più nulla. È questa la funzione della prescrizione.
Vediamo cosa dice la Costituzione (27 dicembre 1948) per i reati, rispetto ai quali occorre stabilire entro quanto tempo viene meno l’interesse pubblico a punire il responsabile.
Art. 25, II comma: “Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge. Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”. Significa che bisogna sapere bene prima del fatto, e non dopo, quali comportamenti costituiscono reato, quale punizione spetta per ogni reato, davanti a quale giudice si sarà giudicati. Significa pure che bisogna sempre potersi difendere.
Prosegue il II comma dell’art. 27: “L’imputato non è considerato colpevole fino alla condanna definitiva”. Rincara l’art.11, II comma, della Dichiarazione universale dei diritti umani (Assemblea delle Nazioni Unite 10 dicembre 1948): “Ogni individuo accusato di un reato è presunto innocente sino a che la sua colpevolezza non sia stata provata legalmente in un pubblico processo nel quale egli abbia avuto tutte le garanzie necessarie per la sua difesa”.
Imputato è chi è accusato di un reato davanti a un giudice. Per prima cosa, dunque, l’accusa non si muove dove capita o dove fa comodo, la si deve portare davanti al giudice stabilito in precedenza dalla legge, non scelto per l’occasione. Il giudice incarna il potere della Repubblica di giudicare se il reato è stato commesso dall’imputato e, se l’imputato l’ha commesso, con quale pena va punito.
Perché si sono dovuti affermare così solennemente questi principi? Forse perché, per storia e per natura, siamo inclini a prestar fede all’accusatore assai più che all’accusato. Di questa inclinazione Socrate, Gesù Cristo, Giordano Bruno e moltissimi altri hanno pagato il prezzo con la vita; assai di recente Filippo Penati, qualche anno prima Enzo Tortora. Forse perché l’accusatore è il potere stesso, il quale è pure giudice. La colpa ci affascina e ci opprime, fin da quando ci hanno insegnato che siamo tutti colpevoli dall’origine e per questo soffriamo e moriremo. Forse, ancora, perché una crudeltà primitiva spinge il gruppo a sacrificare la vittima, affinché espii la colpa di tutti, purifichi il mondo e lo liberi dal male.
Per arrivare dove siamo oggi ci sono voluti millenni, dai tempi di Omero e della Bibbia. L’imputato deve essere giudicato secondo un ordine, che consenta all’accusa e alla difesa di confrontarsi nel rispetto della legge, e al giudice di trarre dal loro confronto la conoscenza occorrente per decidere quali ordini impartire, circa la responsabilità e la pena. Quest’ordine è il processo con le sue regole.
Art. 111 della Costituzione: “1. La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge. 2. Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata. Nel processo penale, la legge assicura che la persona accusata di un reato sia, nel più breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico; disponga del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa; abbia la facoltà, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a
suo carico, di ottenere la convocazione e l’interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell’accusa e l’acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore; sia assistita da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo… 4. Il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova… 6. Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati. 7. Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge…”.
Ce n’è da pensare, e ogni cittadino dovrebbe farlo.
Lo scopo del processo
Molti chiedono e si aspettano che il processo stabilisca la verità. È un errore. Già è dubbio se il postulato della verità favorisca la conoscenza o vi ponga un limite. Il processo comunque non è per la verità, tanto che se l’imputato muore prima della sentenza tutto finisce lì. La verità la cercheranno, semmai, i cronisti, gli storici, gli ideologi, i religiosi e i filosofi.
Il processo è per tentare la conoscenza dei fatti, seguendo le tracce che i fatti, subito svaniti, lasciano nella memoria e nel mondo, e lo si celebra solo in funzione della responsabilità dell’imputato e dell’eventuale pena. Spetta all’accusatore offrire al giudice le prove a sostegno dell’accusa. Se il giudice non ne sarà convinto, l’imputato se ne andrà assolto.
L’accusa deve raccogliere le prove del reato quando ne ha avuto notizia e, una volta raccolte, deve domandare al giudice di procedere nei confronti dell’imputato. In molti casi è tutt’altro che facile. L’accusatore per la Costituzione è il Procuratore della Repubblica, il quale non ha scelta. Articolo 112: “Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale”.
Attenzione: ciò non vuol dire che il pubblico ministero deve controllare tutto e tutti, sorvegliare le vite degli altri per vedere se commettono reati. Questo lo faceva la Santa Inquisizione per i peccati di eresia e stregoneria, avvalendosi anche della penitenza attraverso il confessionale; lo facevano pure i nazisti, i fascisti, gli stalinisti, le repubbliche popolari dell’est europeo. Tutti esempi criminali. Per la Costituzione, invece, l’accusatore deve agire ogni volta che la notizia di un fatto previsto come reato gli perviene da fonti esterne, compresi cittadini e stampa. Il confine è sottile, ma non deve essere superato. Fare questo richiede tempo e che non si perda tempo. L’imputato accusato è sottoposto all’incertezza del giudizio, talora alla restrizione della libertà e del patrimonio, a considerevoli spese, al sospetto se non all’oltraggio popolare e dell’informazione.
Il processo è una pena in sé e per sé. Se poi imputata è una persona che appartiene al Parlamento o al Governo, o ricopre un ruolo politico, la faccenda investe i rapporti tra i Poteri della Repubblica e riguarda le sorti della democrazia. Lo stesso se l’accusa coinvolge un intellettuale, un esponente sindacale, un giornalista, un artista, uno scrittore o uno scienziato. Non occorre risalire a Galileo, basta ricordare Enzo Tortora e, più di recente, Ilaria Capua.
La durata del processo
La durata del processo dipende dalla procedura e dall’organizzazione degli uffici giudiziari. Allo stato, i processi nel nostro Paese si spingono ben oltre la ragionevole durata voluta dalla Costituzione, benché non nella nostra regione, a dire il vero. Non c’è da illudersi che riforme procedurali portino un reale miglioramento. Il processo civile ordinario è già scarno e difficilmente riducibile, per non parlare del rito del lavoro, essenziale e rapidissimo, grazie al quale, nei tribunali e corti della provincia trentina, in poco più di un anno si ottiene la sentenza d’appello. Anche il processo penale non è oggi facile da restringere, salvaguardando gli obblighi dell’accusa e i diritti della difesa. Quanto all’organizzazione, la definitiva introduzione negli ultimi anni del processo telematico da un lato, del tentativo di mediazione dall’altro, ha fatto compiere alla giustizia civile e amministrativa dei bei passi in avanti; ha filtrato, semplificato e accelerato il lavoro degli avvocati, delle cancellerie e dei giudici più di quanto si sperasse, e l’esperienza può portare nuovi progressi anche nella giustizia penale.
Il vero nodo sembra essere l’insufficiente numero dei magistrati e del personale di cancelleria, talora persino l’inadeguatezza delle sedi, cui occorre porre rimedio con consistenti finanziamenti e concorsi, vale a dire con scelte del Parlamento e del Governo. Si fa presto del resto a verificare, basta confrontare il numero dei procedimenti sulle agende degli Uffici coi rispettivi tempi di risoluzione. Dovrebbe essere evidente, a questo punto, il nesso tra durata del processo e tempo della prescrizione.
Rispetto all’illecito civile la questione non si pone. I diritti delle persone si prescrivono in tempi diversi a seconda della loro natura, ma per interrompere la prescrizione basta una semplice lettera o l’inizio di una causa. Il termine torna a correre da capo e può essere interrotto di nuovo all’infinito. È del tutto sbagliato, perciò, sostenere che la prescrizione del reato impedisce ai danneggiati di far valere il diritto al risarcimento. Ciò vale per le vittime delle stragi di Viareggio e di Ustica e per i loro congiunti, non meno che per chi ha subito uccisioni o violenze personali, compresi i cosiddetti femminicidi. Il processo civile e quello penale, per giunta, si muovono l’uno indipendentemente dall’altro.
Nel campo penale, la prescrizione del reato estingue solo il reato e impedisce di punire il responsabile con la pena; secondo il diritto riguarda nient’altro che l’interesse pubblico, non gli interessi privati.
La scelta, che la prescrizione dei reati impone, è tra la realizzazione dell’interesse della Repubblica all’applicazione della pena e l’interesse dell’imputato a un processo rapido e garantito. L’interesse dell’imputato non è però solo suo, privato: prima ancora è pubblico, appartiene alla Repubblica al punto da essere protetto come tale dalla Costituzione. Il confronto si pone tra interessi pubblici di pari rilevanza costituzionale e tra differenti civiltà. La soluzione è demandata al Parlamento, che opera per mezzo della legge, alla quale tutti sono sottoposti, imputato e difesa, accusa, giudice, popolo sovrano. È richiesto un compromesso non semplice, ancor meno semplificabile, affidato alla Politica, il quale pretende finezza e cura. Né bianco, né nero, ma entro un ampio spettro di colori e tonalità.
In linea generale la prescrizione del reato si verifica decorso il tempo corrispondente al massimo della pena prevista. Non si prescrivono i reati puniti con l’ergastolo, né i crimini contro l’umanità. Si possono pensare altri reati imprescrittibili, sempre guardando al bene e all’interesse protetto. In tempi di corruzione e di evasione fiscale si possono introdurre prescrizioni lunghe, in ragione della gravità del pregiudizio recato alla collettività. Si possono far decorrere i termini dalla scoperta invece che dalla commissione del reato, sempre entro il recinto della ragione. Si possono studiare sofisticati strumenti processuali per impedire alla difesa azioni ostruzionistiche.
Assolutamente non è però consentito sopperire attraverso la dilatazione della prescrizione all’incapacità di organizzare l’amministrazione della giustizia. Si colpiscono in tal modo vitali interessi appartenenti a tutti: l’interesse all’efficace punizione del reo, alla giustizia e brevità del processo, all’esercizio tempestivo dell’accusa, all’esercizio libero della difesa. Valori che contrassegnano la democrazia. Ognuno deve assumersi la responsabilità di ciò che al riguardo dice, scrive, pensa e vota, sapendo che si può vederla in molti e diversi modi, e che occorrono per forza soluzioni di compromesso, articolate, mai definitive o imperative.
Potremmo dire: è la Politica, bellezza.