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QT n. 10, ottobre 2019 Servizi

“Spero che tu muoia”

Quando la comunicazione postmoderna diventa malvagità e follia

Isabella Chirico

Ho voluto intitolare questo scritto usando uno dei tanti messaggi apparsi sui social network e inviati, in via pubblica o privata, a personaggi famosi, come a persone comuni.

Queste parole, “Spero che tu muoia”, sono state inviate a Emma Marrone, nota cantante italiana, da un suo hater (odiatore di rete) in due occasioni: la prima, nel 2015, mentre era intenta a fare una diretta Facebook e la seconda circa una settimana fa, quando sul suo social Instagram ha annunciato di doversi operarsi nuovamente per rimuovere il cancro che l’ha colpita fin dalla giovane età.

Ma Emma Marrone non è l’unica donna celebre ad aver ricevuto frasi di odio, di disprezzo, di diffamazione o auguranti la morte: a lei si aggiungono, tra le altre Michela Murgia, Laura Boldrini, Carola Rackete, Teresa Bellanova, Giorgia Meloni, Greta Thunberg. Queste sono alcune fra le donne più attaccate online degli ultimi mesi del 2019.

Sui social network più noti, quali Facebook, Instagram, Whatsapp, Twitter, è sempre più ingombrante ed esplicita una comunicazione web volta a ledere il femminile in ogni sua componente: basta aprire uno qualunque dei social network delle persone sopracitate per leggere parole offensive, insulti, volgarità di ogni tipo riguardanti la persona nella sua integrità fisica e morale, la sua storia personale, la sfera affettiva e familiare.

Teresa Bellanova, neo ministra dell’Agricoltura, è stata serenamente appellata “la balena blu” per aver indossato un abito color blu elettrico nella cerimonia di giuramento in Quirinale.

Nel social network di Michela Murgia possiamo scorrere altre rivoltanti parole (ci scusiamo per la ripugnanza di queste espressioni, ma pensiamo sia opportuno rendersi pienamente conto del livello cui si è giunti): “Scrofa. Palla di lardo. Cesso ambulante. Vacca. Peppa Pig. Sbaglio di natura. Spero ti stuprino, anzi no, per rispetto allo stupratore, e poi saresti contenta, che tanto a te sennò chi tiscopa. Scaldabagno con le gambe. Tr**a. A schifosa, ti vedo e ti vomito”.

A Laura Boldrini è stato altrettanto serenamente augurato lo stupro. Sempre su Facebook.

A Carola Rackete, è stato augurato un “Impalamento (con tubo d’acciaio che le entri dalla f**a e le esca dalla bocca) in pubblica piazza”.

A Giorgia Meloni serenamente è stato scritto un po’ di tutto; questa è la frase che ne raccoglie il senso “Muori, Giorgia, hai rotto ii c***o con la tua demenza”.

A Greta Thunberg, il 30 settembre, è stato dedicato un post dalla propria bacheca personale di Facebook con testuali parole: “Questa t***a può andare a battere, l’età la ha”.

È bene rileggere più volte e attentamente le parole sopra espresse e immaginare chi possa aver scritto tali comunicazioni. Pur risultando spiacevole definire comunicazione tali frasi, è altrettanto necessario fermare per un attimo il pensiero su chi abbia scelto tale linguaggio, da quale dispositivo, in quale luogo fisico e con quale intenzione.

Da una accorta analisi risulta che i profili da cui sono partiti tutti i messaggi qui sopra siano registrati come maschili.

Sarebbe curioso approfondire anche la comunicazione di tipo istituzionale, quella con cui alcuni uomini politici italiani si rivolgono al genere femminile, perché essere o non essere un rappresentante politico locale o nazionale costituisce una notevole differenza.

Quanto è semplice digitare la parola stupro? Quanto è semplice evocare una tra le violenze più feroci, le cui vittime più frequenti sono donne e bambini?

Augurare lo stupro attraverso i social è l’ultima frontiera della violenza post moderna.

Chi può affermare che non ci sia qualche male-intenzionato/a o fortemente instabile nel suo mondo interiore o altro ancora, che un giorno o una notte non si organizzi per ferire in qualche modo una persona vicina, nella esaltazione di questi messaggi legittimati?

È evidente che questi stessi messaggi di violenza e di prevaricazione online lasciano nel ricevente una sofferenza, una preoccupazione, un malessere, e in alcuni casi di particolare fragilità psicologica, un rischio suicidario.

Si è visto che nelle liste dei commenti più feroci risultano essere gli uomini a profferire queste parole, al contrario delle donne, che usano altre espressioni lesive, ma non strettamente correlate alla violenza.

Di fatto questo tipo di comunicazione, in quanto non contrastata, appare ormai legittima ed accettabile, con buona pace degli effetti di ricaduta sociale, relazionale, affettiva, parentale che comporta.

Scrivere deturpando il corpo femminile è chiamato tecnicamente Body Shaming ed è una forma di bullismo o di cyberbullismo. Classico esempio, il corpo della ministra Bellanova paragonato a una balena blu.

Porre un freno all’odio

È recente la campagna #odiareticosta, iniziativa lanciata dall’associazione Tlon assieme allo studio legale Wildside di Cathy La Torre, avvocato bolognese e attivista lgbtq+, per perseguire in sede civile gli atteggiamenti da cyberbullo, leone da tastiera o troll che spesso portano a insulti gratuiti, minacce o auguri di morte sotto alcuni post.

Lo studio legale Wildside e l’associazione Tlon hanno messo in piedi un gruppo di avvocati, filosofi, comunicatori, investigatori e informatici forensi che raccoglieranno le segnalazioni inviate all’indirizzo email odiareticosta@gmail.com da chi è stato diffamato, offeso o minacciato sui scial.

“Se il diritto di critica - dichiara La Torre -, la libertà di opinione, la libertà di dissenso, anche aspro, duro, netto, schietto, sono diritti sacri e inviolabili, la diffamazione, l’ingiuria, la calunnia, l’offesa e la minaccia non lo sono. Sono delitti che arrecano danni che vanno risarciti. Fino a oggi le vittime di questi delitti sono state lasciate sole”.

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La dott.sa Isabella Chirico è psicopedagogista e antropologa.