Tristi tramonti
Cosa rimane di antichi e potenti partiti? Piccole e litigiose compagini che non riescono a riconquistare il cuore degli elettori
Il 23 giugno scorso il “nostro” Renzo Gubert è stato eletto presidente del Consiglio nazionale della Democrazia Cristiana, subentrando al dimissionario Gianni Fontana, antico ministro dell’Agricoltura, che nel 2012 aveva (ri)creato lo storico partito di centro. “Quella che inauguriamo oggi – ha spiegato Gubert - non è una delle ‘democrazie cristiane’, ma ‘la’. Democrazia Cristiana”.
In effetti, di DC, vere o tarocche che siano, e ugualmente contraddistinte dallo scudo crociato, ne esistono diverse, tutte comunque gravitanti nell’area del centro-destra, e senza apprezzabili distinzioni ideologiche che giustifichino la frammentazione. A parte l’UDC di Lorenzo Cesa e Paola Binetti (un gigante, al confronto delle formazioni sorelle), abbiamo la Democrazia Cristiana di Giuseppe Pizza, oggi guidata da Angelo Sandri, la Democrazia Cristiana di Gianfranco Rotondi e infine – salvo probabili omissioni - la Democrazia Cristiana di Renzo Gubert.
I rapporti fra queste formazioni sembrano svolgersi prevalentemente sul piano legale, allo scopo di rivendicare per sé il nome e il simbolo.
Un caso a parte fu la contestazione, portata avanti a suo tempo da due Democrazie Cristiane nei confronti del Partito Popolare, accusato di avere ereditato indebitamente il ricco patrimonio immobiliare del defunto grande partito. Dopo di che le vertenze sono state tutte interne. Limitandoci ai tempi più recenti, ecco che nel gennaio 2018 la DC di Pizza-Sandri procede contro l’UDC per illecito utilizzo dello scudo crociato; ma qualche mese dopo è la DC oggi guidata da Gubert che per lo stesso motivo invia, tramite legale, una diffida alla DC di Pizza, alla DC di Rotondi e all’UDC.
Tutti costoro naturalmente sognano di ricostruire l’unità politica dei cattolici e auspicano aggregazioni o alleanze (più che con partiti omonimi, in verità, con altri soggetti della stessa area, tipo il Popolo della Famiglia), Ma almeno un evento virtuoso c’è stato: alle Regionali abruzzesi, dove UDC e DC (di Gubert), assieme nel blocco di centro-destra, hanno conseguito un successo inatteso: 2.8% dei voti e un consigliere.
Il triste tramonto degli antichi padroni d’Italia si rispecchia nell’analogo destino dei loro antichi avversari comunisti, in un singolare bipolarismo dell’irrilevanza. Qui il moltiplicarsi delle sigle è ancor più vivace, ma almeno si notano alcune differenze sostanziali. Un primo gruppo, composto per lo più da reduci di Rifondazione, comprende il Partito Comunista di Marco Rizzo (0,9% alle ultime europee), il PCI di Marco Alboresi (che voleva presentarsi a quelle stesse elezioni ma non riuscì a raccogliere le firme necessarie), e il Partito Comunista dei Lavoratori di Marco Ferrando (0,08% alle politiche del 2018). Questi, più o meno, sono nostalgici del PCI togliattiano, anche se non mancano diversità di vedute. Ad esempio, da Ferrando a Rizzo: “La ricostruzione rizziana della storia della rivoluzione d’Ottobre è degna di un tabloid da sala d’attesa”.
Poi ci sono le formazioni più moderne, ma comunque rigidamente marxiste-leniniste-maoiste, fra le quali si distinguono, per attivismo ma anche per originalità di strategia, il P.CARC (Partito dei Comitati di Appoggio alla Resistenza per il Comunismo) e il (nuovo) PCI, strutture gemelle che così si descrivono: “Il (n)PCI ha il compito di attuare la strategia, il P.CARC ha il compito di sviluppare la tattica”. Bontà loro, ammettono che “è forse una questione complicata da comprendere per chi ha una conoscenza superficiale della lotta di classe”.
Sono in totale dissenso con i comunisti del primo gruppo, che li diffamano - sostenendo che sono “pagati dai Servizi Segreti della Repubblica Pontificia (il governo italiano, n.d.r.) o di altro Stato borghese”, e trovando disdicevole, ad esempio, che al ballottaggio per il sindaco di Urbino il P.CARC abbia dato indicazione di voto per il candidato di Fratelli d’Italia, in competizione con quello del PD.
Commemorano l’anniversario della morte di Berlinguer liquidandolo come “complice della borghesia imperialista nella liquidazione dell’eredità della Resistenza” e sono – per quanto critici - sostenitori del governo: “Non è importante – scrivono - che il governo non sia conforme ai nostri valori. L’importante è che è composto da esponenti di due organismi che hanno conquistato i voti di ampie masse popolari grazie alla promessa di porre rimedio ad alcuni degli effetti antipopolari imposti dai gruppi imperialisti europei e USA... Noi comunisti dobbiamo approfittare delle operazioni del governo M5S-Lega per fare scuola di comunismo alle ampie masse. La nostra impresa è difficile, ma possibile e necessaria!”
Auguri.