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QT n. 2, febbraio 2019 Trentagiorni

Il popolano al Parlamento

Se n'è andato il montanaro troppo sincero che le sparava sempre più grosse

Erminio Boso

Quando nel 1992 fu del tutto inaspettatamente eletto senatore della Repubblica, ci dissero “Sarà una sorpresa, saprà farsi valere”. E così fu: Erminio Boso, nelle vesti di senatore, parlamentare europeo, consigliere provinciale non fu uno dei tanti volti che per un po’ appaiono sulle pagine dei giornali e poi scompaiono nel nulla. Impose una parte, che poi non era una parte in commedia, era se stesso. Il montanaro duro e determinato, onesto, franco, rozzo. Era questo il personale che la Lega di Umberto Bossi elevava alle cariche elettive: non tribuni della plebe ma plebei, popolani autentici. Che non avevano timore reverenziale verso gli istruiti, ritenendo sufficiente la legittimazione proveniente dall’essere espressione autentica del popolo (ma nemmeno avevano la spocchia contraria, quella in uso oggi, per la quale se sei ignorante è meglio, vuol dire che sei più puro).

A tale sentire Boso diede plastica evidenza rifilando in Senato un calcio in culo a Vittorio Sgarbi, allora petulante fighetto ancor più insopportabile di oggi. In questa sua popolanità Boso era del tutto schietto, assolutamente credibile, e quindi popolare.

Con una duplice conseguenza: evidenziava senza pudore sentimenti pesantemente negativi, da altri invece infiocchettati con frasi di circostanza per renderli più digeribili. La sua xenofobia sconfinava apertamente in un razzismo candidamente conclamato: chiedeva sui treni, vagoni speciali per gli extracomunitari, si dichiarava felice dei naufragi dei migranti. E’ stato tra gli sdoganatori di sentimenti prima impresentabili; d’altra parte inconsapevolmente faceva un’operazione demistificatoria, chiarendo come la propaganda contro gli immigrati non abbia a che fare con la sicurezza, ma con la xenofobia, o addirittura con il razzismo.

Portava inoltre alla ribalta – sempre inconsapevolmente - il problema di fondo: che senso c’è nel votare un popolano? Nel Parlamento europeo, quando si discuterà di banche, cosa potrà mai dire Erminio Boso?

Sarà indubbiamente onesto, più di tanti laureati, senz’altro, ma come farà mai ad orientarsi tra i vari aspetti di problematiche complesse? Farà quello che gli dice il partito: ma allora si torna alla casella di partenza: votare un popolano vuol dire affidare tutto il potere ai capi bastone della politica.

Forse sono stati proprio questi aspetti a giocare un ruolo in questi ultimi mesi, quando, alle elezioni provinciali, Boso si era ancora presentato nella lista leghista. E aveva suscitato un certo clamore il suo non-spot: un messaggio in cui ripetutamente si impappinava, diceva il contrario del previsto (“Trentini, ci servono più immigrati!”), non riusciva a correggersi ed imprecando abbandonava la registrazione; che veniva ufficialmente ritirata, ma solo per ricomparire malandrina su Internet. In essa c’era tutto l’uomo: la sua schiettezza e la sua inadeguatezza, aggravatasi con l’età. Non a caso quindi gli sono venuti clamorosamente a mancare i voti di partito: i vertici devono aver pensato che non è per niente semplice governare con una compagine formata soprattutto da inesperti: è meglio non abbassarne il livello, per di più facendo eleggere il montanaro troppo sincero che sempre le spara troppo grosse.