“L’incanto nella pittura italiana degli anni Venti e Trenta”
Realismo magico. Rovereto, Mart, fino al 2 aprile
Dopo “Umberto Boccioni” e “Un’eterna bellezza”, il Mart propone un terzo approfondimento sull’arte italiana del primo Novecento, incentrando questa volta l’attenzione sul cosiddetto “Realismo Magico”, termine coniato nel 1925 da Franz Roh per delineare uno dei più significativi aspetti dell’arte internazionale degli anni Venti e Trenta, caratterizzato da una parte da una rappresentazione oggettiva della realtà, dall’altra da ambientazioni estranianti e a tratti surreali. Visioni sospese, quasi un fermo immagine ovattato dopo gli stridori violenti e feroci della guerra, anticipati sul versante artistico dai fuochi d’artificio delle avanguardie storiche.
Il percorso, curato da Gabriella Belli e Valerio Terraroli, costituisce la prima tappa della mostra che nel corso del 2018 esporterà questo capitolo ancora poco indagato della storia dell’arte italiana all’Ateneum Art Museum di Helsinki prima e al Folkwang Museum di Essen poi.
Una settantina di opere provenienti da collezioni pubbliche e private raccontano non un movimento artistico, ma un sentire comune, una pluralità di voci accomunate da un’idea di trasfigurazione della realtà con accenti al contempo teatrali e inquieti, meravigliati e profondamente interiori. Così Massimo Bontempelli a proposito di questo sentire: “Solo attraverso l’arte l’uomo può tornare a provare meraviglia verso ciò che lo circonda e cui l’abitudine lo ha assuefatto; dopo l’infanzia infatti l’uomo non prova più meraviglia e stupore davanti alle cose che lo circondano, verso le quali è come cieco. Ed è qui che entra in gioco l’arte”.
La realtà è dunque per questi artisti un semplice ma mai banale punto di partenza, così come affini ma non coincidenti saranno gli stimoli del gruppo di Novecento, degli artisti di “Valori Plastici” e non da ultimo della Metafisica, movimenti comunque anch’essi parte integrante nel percorso.
Ad aprire idealmente il percorso è uno dei capolavori delle collezioni del Mart: “Le figlie di Loth” (1919) di Carlo Carrà, artista che dopo la stagione futurista recupera la tradizione dei maestri del Trecento e Quattrocento, in particolar modo la loro essenzialità compositiva, tramite un processo di semplificazione formale. Questo input alla reinvenzione dell’antico è comune a molti altri artisti e tocca anche le tecniche impiegate, come ad esempio nella “Madonna con bambino” dipinta ad olio su tavola da Virgilio Guidi nel 1923. Il tema della maternità viene riproposto anche da Gino Severini, sebbene con occhi più contemporanei: ad essere ritratti sono infatti la moglie Jeanne e la figlia Gina, figure comunque immerse in una composizione d’impianto classico, costruita secondo la sezione aurea. Delle stesso Severini sono presenti anche altre opere legate a una delle tematiche più care all’artista, le maschere della commedia dell’arte, immerse anch’esse in un’atmosfera cristallizzata, di melanconica attesa.
Il mito della pittura rinascimentale impregna pure i dipinti del ferrarese Achille Funi, in opere che paiono sempre misurate, costruite con volumi ben definiti, come in “Ragazzo con le mele” o “Mia sorella”, ambedue del 1921, opere che presentano un ritratto centrale affiancato da una natura morta e da una veduta urbana alle spalle, oltre la finestra.
Molti i lavori di Ubaldo Oppi, tanto che è possibile leggere la sua evoluzione stilistica nel corso degli anni, dalle pose ieratiche di “Povertà serena” (1919) a quelle più sensuali e dense di mistero ne “Le due amiche” (1924).
Il senso “magico” delle opere esposte è particolarmente avvertibile in artisti ampiamente documentati nel percorso come Felice Casorati, i cui dipinti paiono mettere sullo stesso piano cose e persone calati in un’atmosfera rarefatta e sospesa, come ne “Gli scolari” (1927-1928), lavoro che tradisce anche l’attrazione dell’artista per la geometria. La magia di Antonio Donghi risiede soprattutto in un attento uso del colore, lucente, levigato e dai contorni netti, che ricorda Piero della Francesca anche quando utilizzato per allegre scene di saltimbanchi o giocolieri (“Il giocoliere”, 1936).
Di ben altro tenore sono le composizioni di Cagnaccio di San Pietro, altro grande protagonista di questa mostra, nei cui lavori, dal realismo esasperato, riecheggia per molti aspetti l’amore lenticolare della pittura fiamminga, specialmente nelle nature morte, mentre altre opere più complesse, algide e carnali, risultano affini a quelle contemporanee della Neue Sachlichkeit tedesca.
Accanto a questi grandi nomi dell’arte italiana del primo Novecento se ne trovano altri, certamente meno conosciuti, la cui presenza vuole essere anche un invito alla loro riscoperta; è il caso di Mario e Edita Broglio, Leonor Fini, Arturo Nathan, Carlo Sbisà, Gregorio Sciltian, Carlo Socrate e Cesare Sofianopulo.