Inquinamento in Valsugana
La qualità dell’aria sembra sia diventato un problema anche in Trentino, ma le strategie per affrontare questo problema non appaiono affatto chiare e nemmeno si ha l’impressione che i responsabili istituzionali, preposti a tale questione, si rendano effettivamente conto della serietà della cosa. Il piano anti-inquinamento riportato da L’Adige di venerdì 17 novembre, molto alla “volemose bene”, sembra più volto all’apparire che all’essere. Le centraline di monitoraggio sono a dir poco insufficienti e poche anche le sostanze ivi considerate. Se non si giunge ad una chiara conoscenza di ciò che si respira, ogni intervento parte zoppo.
Scrivo dalla Valsugana che, per questo argomento, potrebbe fare scuola. Già da qualche anno, questa parte della Provincia era stata classificata come “zona di risanamento classe A”. Questo avrebbe voluto dire che la situazione non doveva essere peggiorata e qualsiasi addizione di emissioni doveva essere compensata da interventi migliorativi mentre si doveva cercare di ridurre tutte le emissioni in generale. Questa valle, infatti, ha una posizione morfologica est-ovest che non permette una adeguata ventilazione e quindi provoca il ristagno degli inquinanti, specie nella stagione fredda.
La zona è attraversata dalla SS47 con i suoi circa 20.000 veicoli (3.000 dei quali sono mezzi pesanti) oltre che da un sacco di altre piccole e grandi fonti di inquinamento (come una fonderia con due camini da 5 metri che sparano un milione e trecentocinquantamila metri cubi all’ora più le diffuse...) che, tutte assieme, arricchiscono i polmoni di miscele decisamente pericolose.
Lo spirito che ha mosso le scelte dei responsabili politici mette a dura prova quel tanto declamato rapporto di fiducia che dovrebbe esistere fra amministrati e amministratori in una comunità degna di questo nome.
Dopo le inchieste ambientali che hanno messo in luce una filosofia politica che vedeva i controlli ambientali come un freno allo sviluppo e alla piena occupazione (con la conseguenza di controlli preannunciati, deroghe alle emissioni, limiti altissimi e molto altro-) sono diventati la regola aurea dei rapporti fra impresa ed ente di controllo. Si è avuta la netta percezione che la sicurezza ambientale non toglieva il sonno dentro i palazzi di Piazza Dante...
In questo contesto va letta la battaglia contro l’inceneritore industriale a biomassa di Menz & Gasser, che si aggiungeva ad una situazione già satura, il quale veniva portato a conoscenza della popolazione con inspiegabile ritardo (giugno 2014) rispetto al contemporaneo ampliamento (dicembre 2013). Perché tenere celato un progetto se lo si riteneva cosi eco-bio vantaggioso per tutti? Per non parlare della goffa ricerca di una qualche “compensazione” con il “progetto camino”, che con la sistemazione di qualche canna fumaria privata doveva “compensare” il caminone da 600 quintali al giorno e 20.000 metri cubi l’ora.
Credo che per affrontare una così importante problematica ci dovrebbe essere principalmente la consapevolezza del pericolo e dei costi che comporta il vivere immersi in un’aria sempre più ricca di cocktail di sostanze di varia origine. Occorrono scelte anche impopolari ma, visti i sopra citati precedenti e molti altri che per motivi di spazio ci risparmiamo, non potranno essere messe in atto da una classe dirigente che, nei fatti, si è mostrata a dir poco inadeguata.
Chi effettua controlli ambientali non può essere soggetto a sua volta al controllo della politica, e la politica di governo deve capire che cedere in tutto e per tutto alle richieste del mondo economico industriale non sempre si rivela un affare vantaggioso per la comunità che rappresenta: se si rompe il rapporto di fiducia le cose si complicano dannatamente.
Ogni giorno, in questa stagione, si notano preoccupanti ristagni di fumo che quando Menz & Gasser e la vicina Eurolegnami andavano a metano non si vedevano. Paradossale mi sembra poi che impianti come quello di Menz & Gasser siano sostenibili anche economicamente solo grazie ad incentivi (della serie: ci stiamo pagando lo smog che stiamo respirando). Sono personalmente convinto che si possano aiutare le imprese a produrre e a dare occupazione senza aumentare inutilmente i rischi, ma occorre che la consapevolezza di questi problemi faccia breccia nella nostra cultura e, sopratutto, in chi ci governa, possibilmente prima che il prezzo di questa insipienza diventi insostenibile. C’è da lavorare molto su trasporti, impianti di riscaldamento civili, stufe e camini, impianti industriali, incenerimento di sterpaglie e rifiuti agricoli, controlli, ecc., ma prima di tutto occorrono istituzioni credibili che ora, purtroppo, non vedo.