“Blade Runner 2049”
di Denis Villeneuve. Un sequel riuscito
“Blade Runner” era un capolavoro della fantascienza e in assoluto nella cinematografia. Centrale era la creazione di un mondo futuro distopico, all’interno del quale erano concentrate scenografie immaginifiche del futuro, invenzioni visive, effetti speciali mai visti e strabilianti, nelle costanti atmosfere in controluce di Ridley Scott. Affascinanti poi i personaggi, di converso quasi retrò per vicende che si rifacevano alla vecchia scuola dei polizieschi Hard Boiled, con detective innamorati e criminali da scovare. Infine il tema delle riflessione sull’identità umana e l’evoluzione delle macchine “più umane dell’umano” che prendono coscienza di sé, e chiedono più tempo per vivere.
Un mix straordinario capitato in un momento speciale, i primi anni Ottanta, ricchi di aperture ed aspettative sul futuro tecnologico, che regge ancora oggi. Forse anche perché quell’utopia negativa per alcuni versi si sta realizzando (automi, società multietniche, sconvolgimenti climatici), forse per quel mix di futuro e retrò, il film è pochissimo invecchiato rispetto ad altri del periodo. E ciò nonostante la tecnologia cinematografica, negli ultimi 35 anni, abbia fatto passi da gigante e le possibilità di creare altri mondi siano oggi assolute.
Con questi presupposti pensare di fare un sequel, per quanto allettante (sono state fatte speculazioni cinematografiche con serie infinite su film decisamente più modesti) rappresentava una sfida impraticabile. Il livello di aspettativa era sicuramente altissimo e severissimo, il rischio di scopiazzamento inaccettabile. I fan di Blade Runner non sono gli stessi di “Star Wars”.
Alla luce dei risultati è stata coraggiosa ed azzeccata la scelta di un regista-autore canadese come Dennis Villeneuve, che già con il precedente “Arrival” aveva dato segno di una mano e stile preciso, per un’idea di fantascienza personale, non fracassona, adrenalinica, fumettistica e vuota, come dominante oggi. Così anche in questo film Villeneuve ha messo molto del suo: tempi, inquadrature, immaginario (basti pensare all’ultima immagine del film). Il che è un bene, perché quello di proporre uno stile personale ed interessante era l’unica maniera per aggirare, per quanto possibile, confronti insostenibili.
Non mancano comunque, e non avrebbe potuto essere diversamente, agganci e riferimenti al film precedente: il vecchio collega che faceva gli origami, il ritorno di Rachel, lo stesso blade runner di Harrison Ford. Curioso poi il gioco di retrofuturismo in cui ai cartelloni pubblicitari della Sony si affiancano quelli della PanAm (fallita nel 1991), dell’Atari (fallita nel 2013) e di una ballerina made in URSS (fallita altrettanto nel 1991). Per non parlare del finale, con elementi simili, in cui la pioggia è sostituita della neve e ritorna la colonna sonora di Vangelis.
La storia racconta che i pericolosi replicanti della serie Nexus della Tyrell sono stati messi fuori legge e quasi tutti “ritirati”. Ma il mondo non può fare a meno di sostituti degli umani e quindi un nuovo imprenditore ha convinto il mondo ad accettarne altri: perfetti, senza limiti di longevità e soprattutto obbedienti.
Ovviamente il confine tra umani e macchine non può essere travalicato, pena lo sconvolgimento dei presupposti del senso dell’esistenza. Ma qualcuno scopre qualcosa che potrebbe cambiare tutte le conoscenze finora acquisite sui replicanti, e dunque cambiare il mondo. Per esserne certi, però, bisogna andare fino in fondo. L’agente K, un blade runner della polizia di Los Angeles nell’anno 2049, è l’incaricato a questa rischiosa indagine. Le ricerche lo porteranno in realtà diverse e complesse, inoltre, come in ogni noir che si rispetti, dovrà, ad un certo punto, consegnare pistola e distintivo e fare i conti da solo con il proprio passato.
A pensarci bene la sintesi della storia non è tanto lontana dall’originale. Allora dei replicanti arrivavano sulla Terra per trovare il modo di vivere di più, ora il pericolo è la possibile riproduzione tra loro e/o con gli umani. Quindi bisogna eliminare chi ci crede e chi è forse esempio e simbolo di questa possibilità. Il passato ritorna…
In questo contesto il film prova anche a dire delle cose: che umani magari non si nasce, ma l’umanità è una conquista possibile, e diventare umani è magari essere costretti a disobbedire alla regola. Non ci si chiede solo cosa è umano e cosa no, piuttosto quanto sono reali i legami, i ricordi, i sentimenti degli uomini con gli esseri replicati. Insomma anche questo film punta molto sulle atmosfere; con alcune sequenze affascinanti e originali, con risvolti che ricordando certe immagini del cartoonista Bilal.
Altri capitoli invece non così originali come sembrano. Ci sono lungaggini e sequenze inutili, che purtroppo richiamano l’eco di altre saghe, di altre visioni. È il rischio di fare un film personale con un budget da blockbuster. Lo stesso però si esce dal film con la sensazione che, al netto dell’inevitabile confronto, siamo a un livello decisamente superiore rispetto a tanto cinema di genere contemporaneo.