“Il maestro e Margherita”
Meraviglia e magia a teatro
Meraviglia e magia. Chiunque abbia preso parte alla trasposizione scenica de “Il Maestro e Margherita” proposta da ariaTeatro, è uscito immerso in queste due potenti emozioni. Il giudizio non sembri impegnativo o troppo entusiastico: chi c’è stato saprà confermarne la verità.
Lo spettacolo itinerante ispirato al capolavoro di Michail Bulgakov, per sei volte (ogni replica poteva accogliere un massimo di 60 persone, limite sempre raggiunto e spesso sforato per venire incontro alle richieste), tra il 6 e il 14 aprile, ha condotto gli spettatori nei meandri nascosti del Teatro di Pergine. Proprio dalla volontà di svelare il dietro le quinte, di far assaporare il teatro attraverso una prospettiva inusuale, è partita la compagnia perginese.
Da lì, la scelta di confrontarsi con un testo stupendamente scritto e che straripa di luoghi e azioni teatrali, è stata praticamente automatica. Per rendere in un’ora e venti minuti oltre 500 pagine di grande letteratura, i registi Giuseppe Amato e Chiara Benedetti – in scena insieme a Denis Fontanari e Christian Renzicchi – hanno compiuto scelte precise, isolando alcuni passaggi chiave e ricostruendo un nucleo narrativo essenziale, incastonandolo poi in un impianto complessivo imponente, che regge alla perfezione.
Vero è che la componente satirico-grottesca, molto presente nel modello, risulta sacrificata; lo è però in nome di un’atmosfera di affascinante mistero, arricchita da immagini di forte impatto visivo ed emozionale, da cui non si può che restare rapiti. Inserito in un contesto itinerante che può far pensare a un mistero medievale in salsa novecentesca, lo spettatore non è un mero fruitore passivo dello spettacolo, ma parte attivamente coinvolta, risucchiata in un inesauribile susseguirsi di suggestioni.
Il pubblico è accolto nel foyer come invitato a un gran ballo da svolgersi in una sala sfarzosa illuminata da scintillanti luci e lumi di candela che rischiarano l’oscurità della notte. Una voce fuori campo, introducendo per sommi capi la vicenda della contrastata storia d’amore del Maestro con Margherita, lo cala subito in una dimensione da sogno. Il presentatore della serata annuncia con arte l’atteso spettacolo di magia nera di Monsieur Woland (nome scientemente non rivelato, ma celato da un triplo svolazzo musicale), interrotto improvvisamente dalla richiesta d’aiuto. È Ivan che vuole far catturare uno straniero appena incontrato che afferma di avere la prova dell’esistenza di Cristo e di conoscere l’ora esatta della morte di ogni uomo; la sua richiesta rimane però inascoltata, e lui creduto pazzo e portato via a forza.
Dopo la scena iniziale, il pubblico viene diviso in tre gruppi, ciascuno traghettato da un animale guida: un orso, un cervo e un’aquila, sotto la cui maschera si nascondono tre figuranti. Un’invenzione registica pertinente con l’anima low fantasy del romanzo, e soprattutto fondamentale per governare la dimensione itinerante dello spettacolo: i momenti di passaggio da una scena all’altra richiedono una precisione di tempi certosina.
Percorrendo tre itinerari diversi, attraversando platea, cavedio, fossa dell’orchestra e varie scalinate, gli spettatori sono accompagnati nelle sale espositive, nel magazzino e sul ballatoio, fino a riunirsi sul palcoscenico per la scena finale.
In questi ultimi locali, il pubblico assiste al soliloquio di Margherita (Chiara Benedetti) nella sua camera, al dialogo tra Ivan (Denis Fontanari) e il Maestro (Giuseppe Amato) in manicomio e al monologo di Woland (Christian Renzicchi) sul disvelamento della magia.
Margherita è disposta a tutto, anche a stringere un patto col Diavolo, pur di riavere il suo amato. In cella, Ivan e il Maestro si raccontano di come ci sono finiti, l’uno impazzito dopo l’incontro con Woland, l’altro per l’insuccesso del suo romanzo su Ponzio Pilato, in seguito al quale ha rinunciato al suo nome e alla sua amata.
Nel monologo su Margherita e nel successivo passaggio (nella fossa) della distruzione del romanzo (una citazione dell’Apocalisse e de Il settimo sigillo), Giuseppe Amato dà vita agli appuntamenti di maggior pathos. Dietro le quinte del teatro, Woland smaschera la sua tecnica (ammirare le ballerine dall’alto è un altro dei momenti più riusciti) e annuncia l’imminente inizio del suo spettacolo, Il ballo del plenilunio o Ballo dei cento re.
Una volta tutti sul palcoscenico, Woland celebra – con le danzatrici come officianti – tramite la magia nera il ricongiungimento dei due amanti. È un rito pagano, una messa nera e la tenebrosa musica lo sottolinea. Il Maestro e Margherita si reincontrano. Da morti, ma finalmente insieme. Insieme accedono – salendo la scalinata centrale della platea vuota – a una dimensione altra, che a seconda dell’interpretazione può essere lunare (come vorrebbe l’autore) o acquatica, accompagnati dallo struggente requiem Lacrimosa di Zbigniew Preisner (una colonna sonora cristiana, in evidente contrasto con la precedente).
“Il Maestro e Margherita” di ariaTeatro è un lavoro molto composito e superlativamente realizzato che unisce numerose componenti. Una traduzione drammaturgica capace di trasmettere con grandiosa efficacia, anche con un cenno fugace, tutte le suggestioni create da Bulgakov. Una costruzione registica che amalgama interpretazione, musica e danza, impatto visivo ed emozionale, in un risultato davvero unico. Uno spettacolo che colpisce al cuore, che insegna cosa sono la meraviglia e la magia a teatro. Di quelli che - non sembri un’esagerazione - potresti rivedere e rivivere all’infinito. Di quelli a cui ripensi la mattina seguente, e per giorni...