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QT n. 5, maggio 2017 Monitor: Arte

“La materia della forma. La collezione Panza di Biumo”

Minimalismo e arte concettuale. Rovereto, Mart, fino al 2 luglio.

Vladimiro Sternini

Da qualche tempo il MART di Rovereto può vantare il ritorno di una delle più ricche e complesse collezioni di arte concettuale, quella raccolta tra il 1955 e il 2010 da Giuseppe Panza di Biumo, tra i primi in Europa a collezionare arte americana del secondo Novecento, in particolare Pop Art, Minimalismo, Arte ambientale e soprattutto Arte concettuale. Opere che perlopiù richiedono un’attenta riflessione sugli spazi che le ospitano, dall’architettura alla luce, innestandosi sia in contesti contemporanei (dal MOCA di Los Angeles al Guggenheim di New York) che storici, come Villa Panza a Varese, donata dallo stesso collezionista al FAI.

La mostra “La materia della forma” si presenta in stretto dialogo con la sezione contemporanea della permanente del MART ed evidenzia un aspetto fino ad ora mai preso in considerazione della collezione Panza, quello della materia dell’opera d’arte e del suo carico, al contempo simbolico, emotivo e strutturale. Così il direttore del MART nel corso di un’intervista con gli eredi del collezionista: “I lavori selezionati... paiono legati a un carattere effimero e caduco nella loro sostanza. C’è un forte senso del presente e della sua evanescenza nel prevalente utilizzo di materiali che non si impongono per la loro permanenza ma per essere testimoni di fragilità”.

La materialità delle opere se da una parte rimanda alla transitorietà della vita umana, dall’altra si carica di profondi significati simbolici, dalla spiritualità astratta dell’oro utilizzato da Jan Vercruysse all’immaterialità della luce nelle opere di Ettore Spalletti e Larry Bell (“Two Glass Walls”, 1971-1972), fino alla massiccia concretezza della ghisa nell’installazione di Roni Horn (“Post Work III”, 1986-1987), composta da sei elementi issati su altrettanti esili montanti che ne alleggeriscono la percezione.

Lawrence Carroll, Untitled

Alcune di queste opere non sono state fino ad oggi mai esposte, proprio per i grandi spazi di cui necessitano.

Oltre all’installazione di Roni Horn, particolarmente significativa risulta quella di Richard Nonas, artista-antropologo affascinato dai luoghi rituali, al contempo strutturalmente semplici e magnetici.

A questi si è ispirato per la complessa installazione di travi di legno esposta nel percorso, “Jaw Bone” (1973), significativa anche per comprendere la natura squisitamente concettuale di questi lavori: l’opera venne infatti acquistata da Giuseppe Panza come semplice progetto e solo oggi, con questa mostra, è stata portata a compimento.

Molte delle opere della collezione Panza hanno questa origine immateriale: il collezionista comprava il progetto, che veniva poi realizzato dal collezionista. L’artista riceveva poi una foto dell’opera realizzata e approvava l’esecuzione, oppure proponeva delle modifiche più o meno significative.

Alla vastità di tali lavori fanno da contraltare interventi minimi, in cui a stupire è ad esempio l’epifania della natura, come nei fragilissimi lavori di Christiane Löhr, realizzati con minimi elementi naturali (ad esempio semi di edera e crine di cavallo), oppure la semplice vibrazione della luce, come nell’opera di Ettore Spalletti segnata da un astrattismo radicale, o ancora la crudezza della materia grezza, come nelle sculture in cemento pigmentato del tedesco Hubert Kiecol, caratterizzate da un rigido geometrismo.

Alcune opere della collezione Panza hanno inoltre arricchito la parte contemporanea della permanente del Museo; anche in questo caso si tratta di opere e installazioni decisamente articolate, opera di Sol LeWitt, Joseph Kosuth, Hanne Darboven e Hamish Fulton.

Immerso in una complessità concettuale non immediatamente intellegibile, il visitatore si trova inizialmente spaesato all’inizio del percorso. Tuttavia in suo soccorso giungono alcuni scritti dello stesso Giuseppe Panza, che introducono di volta in volta artisti e opere esposte, rispondendo in questo a uno degli imperativi dello stesso collezionista: la divulgazione e l’educazione all’arte contemporanea.

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