“La battaglia di Hacksaw Ridge”
di Mel Gibson. Sangue e retorica
Credere in Dio, nei fondamenti di una religione, avere fede motiva l’esistenza terrena. Dà forza morale e anche fisica in particolari circostanze. Un’energia che può essere eccezionale nel perseguire il bene a fronte di incredibili avversità. In nome della fede sono state fatte cose di straordinaria grandezza, bellezza e umanità. Di tutto ciò sono convinto da laico non credente.
Interessanti quindi i presupposti di un film come “La battaglia di Hacksaw Ridge” di Mel Gibson, che tratta proprio di questo. Altro è come il regista ha raccontato uno straordinario exploit in nome della fede. Quindi lo dico con chiarezza e semplicità: da questo punto di vista il film è una merda.
Non è un giudizio preconcetto verso le note posizioni fondamentaliste e destrorse del regista. Sono andato a vedere il film con sincera curiosità ed interesse, spinto anche dalle positive valutazioni sintetiche di vari media. Ho provato a non farmi condizionare, ma dopo aver visto il film mi è risultato imprescindibile ricordare che il regista è un fondamentalista cattolico. Si può eccepire quindi ora che la mia critica sia troppo influenzata da una posizione politica, più che artistica. È probabile, ma opere artistiche e forme espressive possono essere comprese ed apprezzate anche se con presupposti etico/politici altri dai nostri, vedi il Futurismo o, in ambito cinematografico, film come “Olympia” di Leni Riefenstahl, pura propaganda nazista, ma anche un capolavoro di tecnica ed estetica dell’epoca. Ma non è questo il caso.
Nel 1942 il giovane Desmond Doss, obiettore di coscienza per motivi religiosi, si arruola per servire il proprio Paese e dopo un duro e umiliante addestramento è impiegato come soccorritore nella battaglia di Okinawa, dove salverà parecchi uomini senza mai imbracciare un arma.
L’obiezione di Desmond non è però una critica condanna della guerra. E ancor meno lui vi si oppone. Anzi, ci vuole andare e si arruola volontario, ma rifiuta di toccare le armi. Per questo viene perseguitato da compagni e superiori al punto da essere deferito alla corte marziale. Grazie all’intervento del padre (naturale, non divino), che muove le sue conoscenze di veterano della Grande Guerra, Desmond viene assolto e spedito al fronte. Dove ancora subisce soprusi e diffidenza, ma al momento della fatidica battaglia di Hacksaw Ridge dimostrerà tutto il suo coraggio e valore salvando, al limite dell’estremo sacrifico personale, la vita di parecchi compagni, costretti a ricredersi e a decretarne lo straordinario eroismo.
Fede, calvario e riscatto, la triade cattolica per eccellenza. Desmond è dunque un santo aggrappato a un arcigno dogma personale, più che un eroe pacifista che sfida la propria patria per un ideale antimilitarista e non violento.
E il cinema? Le riprese delle battaglie sono indubbiamente spettacolari e coinvolgenti, compresi gli smembramenti e il grand guignol di sangue che piace tanto al regista. Ma il resto è un disastro. Tutta la parte introduttiva è banale e stucchevole, peggio di un’agiografia di don Bosco prodotta dalle edizioni Paoline. Elementari le psicologie, i rapporti e le dinamiche familiari. Infantile la storia d’amore con la bella infermiera. Retorico alla nausea l’addestramento, condito di soprusi da compagni e superiori. Insomma, un concentrato delle peggiori banalizzazioni hollywoodiane del genere, allo scopo di creare un vero e proprio santino.
Ma il top è nel finale con la sequenza cristologica in cui il nostro eroe è ripreso, mentre steso in barella viene calato dal dirupo della battaglia, con un movimento di macchina che progressivamente si abbassa stagliando la figura sofferente, con la bibbia tra le mani, verso un sempre più luminoso, divino cielo di salvazione.
In sostanza un film di propaganda cattolica finto pacifista, in cui l’obiezione di coscienza è una posizione individuale, dettata più da memorie e sensi di colpa personali, che da una esistenziale presa di coscienza per la non violenza. E passi, ma la realizzazione è talmente grossolana, prevedibile e forzata da risultare insostenibile.