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QT n. 1, gennaio 2017 Monitor: Teatro

“Mario Pirovano e Ugo Dighero”

Due modi interessanti di proporre Dario Fo

Ugo Dighero in “Mistero buffo”

A poco più di un mese dalle repliche di Pergine e Meano del “Mistero buffo” di Ugo Dighero, al Teatro San Marco mercoledì 28 dicembre è andato in scena Mario Pirovano, l’erede naturale di Dario Fo. Un’occasione imperdibile per un confronto tra due interpreti autorizzati del “giullare degli ultimi”.

Ospite per il secondo anno consecutivo della minirassegna di teatro civile “Cibo per la mente”, organizzata e ideata da Anima Mundi Creativity Factory con la direzione artistica di Fausto Bonfanti e Ivan Tanteri, Mario Pirovano ha riproposto “Johan Padan a la descoverta de le Americhe”. Uno spettacolo che ritorna nel capoluogo trentino dopo il debutto-evento del 1992: la prima nazionale avrebbe dovuto tenersi al Teatro Petruzzelli di Bari, ma a causa di un incendio doloso venne spostata proprio a Trento, in un cinema-teatro Nuovo Roma adattato per l’occasione. Fu un successo incredibile e ad oggi ancora imbattuto: sei repliche da tutto esaurito, per un totale di oltre 5000 spettatori.

Il monologo in due atti narra di Johan Padan, un giovane zanni bergamasco che, in fuga dall’Inquisizione veneta, si ritrova a salpare da Siviglia a bordo di una delle tre caravelle con cui Cristoforo Colombo e i suoi uomini compiono il quarto viaggio nel Nuovo Mondo. Sbarcato in Florida, il protagonista viene dapprima fatto prigioniero, ma risparmiato diventa poi sciamano, “figlio del sole e della luna”, ed insegna le storie dei Vangeli agli Indios per salvarli dai conquistadores.

Mario Pirovano in “Johan Padan...”

La prova di Mario Pirovano è quella di un attore che, dopo oltre trent’anni di vita artistica comune (il primo incontro risale al 1983), è perfettamente in simbiosi con il Maestro. Lo si evince dalla spiccata somiglianza fisica, ma soprattutto dalla dettagliata conoscenza della prassi creativa e dei lati umani di Fo, che emergono all’inizio di ciascun atto, quando prima di immergersi nel monologo Pirovano si rivolge direttamente al pubblico, tastandone e cercandone l’empatia. La simbiosi artistica tra maestro ed allievo-erede emerge ancora di più sul piano ideologico, imprescindibilmente una delle componenti forti della produzione del Premio Nobel per la Letteratura 1997. “Johan Padan a la descoverta de le Americhe” è uno di quei testi in cui il connubio fra la dimensione politica (il colonialismo, l’imperialismo) e quella artistica si esprime al meglio. Dal punto di vista della resa scenica, la mimica e la gestualità di Fo sono ben riconoscibili, gestite forse con un tantino di maniera e misura, finendo per perdere in energia.

Confrontando la performance di Mario Pirovano con quella – ancora fresca nella memoria – di Ugo Dighero, emergono punti a favore dell’uno e dell’altro. Senz’altro il primo, oltre a cercare un’empatia più profonda con il pubblico, dimostra inevitabilmente maggiore sintonia ideologico-artistica con Fo, elemento che nel secondo è più latente (si ripensi all’accostamento tra “Il primo miracolo di Gesù Bambino” e “La parpàja topola”) e probabilmente non rappresenta l’obiettivo principale. A favore di Dighero giocano invece sicuramente la ricerca di una chiave di lettura più personale e – anche per un fattore d’età – la travolgente energia profusa sul palco. Laddove Pirovano appare più un bravo ma fedele imitatore del Maestro, il comico genovese tende più a riplasmare la materia in un modo nuovo. Soprattutto, è difficile non farsi trascinare al riso, anche grasso ma intelligente, generato dalle accentuate mimica e gestualità di Dighero, la cui enorme presenza scenica tiene l’attenzione sempre su alti livelli di guardia.

In conclusione, due prove ben riuscite di due bravi attori, che dimostrano come l’opera di Dario Fo sia ancora vitale e possa aprirsi ad interpretazioni ed esiti affatto diversi ma comunque interessanti.

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