“Milite ignoto” e “L’uomo che raccoglieva bottiglie”
Due narrazioni umane all’aperto
Con l’arrivo dell’estate anche i palcoscenici del Trentino vanno in vacanza. Non per questo però la macchina del teatro si ferma. Al contrario, tra giugno e inizio settembre festival e rassegne di arti performative fioriscono in modo stupefacente, toccando molti angoli della provincia ed esplorando spazi scenici inusuali, quasi sempre all’aperto. È il caso di “Solstizio d’estate” tra i vigneti della Piana Rotaliana, di “Pergine Spettacolo Aperto” in numerosi punti della cittadina, di “Drodesera” negli insoliti e incantevoli siti di Fies, di “Oriente Occidente” che porta la danza in teatro ma anche nei centri urbani. Di “Sentinelle di pietra” che accompagna a forti, trincee e sentieri militari di tutto il Trentino, e dell’”Agosto Degasperiano”, che tocca vari centri della Bassa Valsugana e del Tesino. Proprio in queste ultime due rassegne erano inseriti i due spettacoli di cui parleremo nelle prossime righe, due proposte in cui, secondo chi scrive, si possono trovare molti punti di contatto: “Milite ignoto” di Mario Perrotta e “L’uomo che raccoglieva bottiglie” di Pino Petruzzelli.
Seconda tappa del progetto “Quattordicidiciotto”, “Milite ignoto” è il racconto del primo vero momento di unità nazionale, nel pantano di sangue e fango delle trincee della Grande Guerra. Qui per la prima volta veneti e siciliani, emiliani e pugliesi, lombardi e campani si ritrovano, accomunati dalla paura e dallo spaesamento per un evento troppo più grande di loro, costretti ad amalgamarsi anche in presenza di una babele di dialetti. Per 70 minuti l’autore-attore ha svolto la sua narrazione seduto su un sasso, ricorrendo solo a pochi gesti minimali. Eppure lo spettacolo cattura: merito delle scelte di linguaggio (un efficace frullato di molti dialetti italiani, una lingua d’invenzione ma viva e credibile) e della voce, mai urlata e forzata, eppure chiara e limpida di Mario Perrotta, che ancora una volta conferma il suo talento e la sua sensibilità. La rappresentazione a cui ci si riferisce è quella del 26 luglio al Forte Colle delle Benne di Levico, indovinata e suggestiva location a 660 metri di quota. Godere del monologo è stato ancora più appagante dopo una salutare passeggiata in mezzo al verde.
Affascinante, per ragioni più puramente panoramiche, anche il luogo dello spettacolo di Pino Petruzzelli del 12 agosto: il Giardino d’Europa di Pieve Tesino, una grande aiuola con vista sul paese che diede i natali ad Alcide De Gasperi. In questo monologo, il regista, attore e scrittore pugliese veste i panni di Pasquale, maestro d’ascia di Lampedusa che vive in una casa tra mari e monti (ambienti che l’artista ama perdutamente) che si è costruito da sé riciclando oggetti abbandonati sulla spiaggia, tenendo così pulito il mare e, al contempo, cercando un riscatto dalla povertà. La storia di Pasquale è inframmezzata da inserti di altri personaggi raccontati nel libro “Gli ultimi”. Ultimi non nel senso – spregiativo – di dimenticati dalla società, ma in quello – edificante – di “ultime belle persone, capaci di capovolgere le situazioni negative, stringendo i denti e trovando la forza per andare avanti con grande dignità”. Uno spettacolo che emoziona per la sua vibrante umanità, trasmettendo una grande lezione di sensibilità.
Sensibilità, umanità, attenzione agli ultimi, alle persone semplici. Ecco i tratti che legano due grandi narratori quali Perrotta e Petruzzelli, e non solo in queste due produzioni. Infine, vale la pena dire qualcosa sulla tematica dei confini, comune tanto ai due spettacoli quanto alle manifestazioni che li hanno ospitati. Perrotta parla di confini dettati dalla contingenza della guerra, Petruzzelli ha a che fare con confini geografici (Lampedusa crocevia tra Europa e Africa). Entrambi, tuttavia, più di tutto hanno a cuore raccontare di un confine più profondamente umano: quello in cui sono relegati gli “ultimi”, uomini speciali a cui dare voce.